Grumentum
Voglio andare a Grumentum. Grumento? Non c’è nulla a Grumento, dice il mio interlocutore.
Non ho detto Grumento ma Grumentum, replico, la città romana dell’Alta Val d’Agri (PZ).
Si parte in aereo da Treviso a Lamezia Terme, con base logistica a Lauria (PZ), tra Campania e Calabria, per poi addentrarsi all’interno della Lucania.
Le previste 2 ore di autostrada A3 (Salerno-Reggio Calabria) da Lamezia a Lauria, diventano oltre 4 ore di deviazione su un estenuante percorso montano tra Laino Borgo (CS) e Mormanno (CS), causa lavori sul viadotto Italia, 260 metri dal fondo valle.
Se non ci fosse la ferrovia, la Calabria sarebbe quasi tagliata fuori dal resto dell’Italia.
La deviazione è comunque una scoperta di paesi sospesi nel tempo come Laino Castello, appollaiato in cima ad un costone; pochi abitanti e di migranti/profughi/clandestini (potrebbero ripopolare?) nemmeno l’ombra, sono tutti a Lamezia, forse non gli piacciono i paeselli.
Prima dell’alba, partiamo in quattro, in auto, da Lauria; attraversare la Lucania è attraversare un continente con paesaggi continuamente mutevoli: boschi, radure, greggi, macchia mediterranea, calanchi come in Toscana, laghi e laghetti, paesi che appaiono all’improvviso dal nulla, appollaiati sulla cima delle colline.
Se ci si avvicina si avverte, però, aria di smobilitazione; i piccoli paesi sono ormai spopolati e faranno tutti la fine di Craco, mancano i servizi, le ferrovie costruite nel ventennio sono dismesse, nei boschi prolificano i cinghiali, gli ospedali si trovano a decine di chilometri di distanza, i giovani se ne vanno e non ritorneranno più, io invece penso, che cosa ci andiamo a fare all’estero per turismo?
Dopo Lagonegro si procede verso l’interno, e ne approfitto per tenere una lezione (non richiesta) su quello che si andrà a vedere. Qualcuno dorme o finge di dormire. Moliterno a sinistra in alto sulla collina e Sarconi a destra sul fondo valle, “Forse ci siamo” perché in lontananza, tra la foschia mattutina, si intravede una sequenza di arcate: “Quello dovrebbe essere l’acquedotto romano di Grumentum”.
Però, conosco quasi tutti i ponti e acquedotti romani esistenti, gran parte per averli visti direttamente oppure studiati sui due tomi del poderoso trattato “I ponti romani” del Prof. Vittorio Galliazzo, e questo mi è nuovo.
E infatti poco più avanti un cartello recita “Acquedotto Cavour”, buona replica romana del 1867; da lontano avrebbe ingannato chiunque.
Spero nessuno se ne sia accorto, ma chi fingeva di dormire non gli par vero di darmi addosso; da quando gli avevo citato un aforisma di Leonardo: “Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro”, cerca sempre di prendermi in contropiede.
“Volevo vedere se qualcuno se ne accorgeva” … “comunque, vi (mi) serva da ammaestramento, questo è l’errore classico dell’ignoranza da presunzione: se non si sa o nel dubbio, è meglio tacere”.
Dopo breve arriviamo nelle vicinanze del lago del Pertusillo, e Grumentum, solitaria tra boschi di querce, è posta su un pianoro a tre terrazzamenti, su un’area di circa 30 ettari.
La città era un nodo di comunicazione strategicamente importante, di qui passava la via Herculea, tra Venusia e Heraclea, e un'altra strada conduceva alla via Popilia sul versante tirrenico.
I primi insediamenti abitativi nella zona risalgono al VI secolo a.C., ma la fondazione romana è del III secolo a.C., contemporaneamente a Venusia e Paestum, quale avamposto durante le guerre sannitiche.
Sotto le sue mura nel 207 a.C. il console Caio Claudio Nerone sconfisse Annibale che riparò a Venusia.
Nel 370 d.C. divenne sede episcopale dopo che, nel 312 d.C., San Laverio Martire qui venne decapitato.
Nel IX e X secolo, le continue incursioni saracene causarono la dispersione degli abitanti su nuove postazioni fortificate, fra queste Saponara (ora Grumento Nova) fondata nel 954 sulla collina sovrastante, a circa 2 Km dalla città antica, utilizzandone i materiali da costruzione (chi ha detto che a Grumento non c’è nulla?).
L’impianto urbanistico, in parte ancora da scavare, si trova entro un perimetro murario di 3 Km con sei porte, ed è impostato su un reticolo stradale costituito da tre decumani, con direzione nord-est/sud-ovest, che attraversano l’intero abitato nella sua lunghezza, tagliati trasversalmente da cardini ad intervalli regolari di un actus (35 metri).
I resti del Foro si trovano sul terrazzamento più alto, chiuso dal porticus con i resti del Capitolium e il Caesareum sui lati sud e nord. Ci sono tracce di due edifici termali di età repubblicana ed imperiale (questo bene conservato), la basilica, la curia e il teatro di epoca augustea, la zecca e altri due templi di epoca imperiale.
Non mancano i pavimenti a mosaico del IV secolo di una ricca domus, e infine l’anfiteatro, in opus reticulatum, sul terrazzamento più basso costruito nel I secolo a.C. e modificato in epoca imperiale.
All’esterno delle mura sono state rinvenute tombe monumentali, una basilica paleocristiana e resti di un acquedotto (il citato acquedotto!) preda della vegetazione e dell’edera, l’unica pecca del complesso archeologico che sulla sua tenuta e manutenzione potrebbe dare dei punti ad Aquileia.
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Ma è già pomeriggio inoltrato e bisogna andare a dare un’occhiata al Museo Nazionale dell'Alta Val d'Agri, situato in prossimità dell’area archeologica.
È una moderna e brutta costruzione tronco piramidale, fuori contesto, però l’interno è ben tenuto con ottima e ordinata disposizione dei reperti e delle sale espositive che illustrano la storia del territorio, in particolare il periodo romano. Somiglia al museo di Metaponto dove, per converso, l’area archeologica della Magna Grecia lascia a desiderare.
All’ingresso i custodi sembrano sorpresi:
“Quanti visitatori ci sono in media?”
“Voi siete in quattro, se ne arrivano altri quattro, oggi possiamo dire di avere avuto otto visitatori”.
“Ma il turismo non dovrebbe essere il vostro futuro?”
“Eh, il nostro futuro dovrebbe essere quello”, indicando attraverso le vetrate, in lontananza verso Viggiano, le prime luci dei pozzi petroliferi dell’Alta Val d’Agri.
Era meglio non innescare questo argomento, never tickle a sleeping dragon, e non rovinarmi la giornata, in fondo ero venuto solo per l’archeologia.
La Val d’Agri è una zona che ha sempre avuto una vocazione agricola di eccellenza, già Plinio celebrava il vino che qui veniva prodotto, ci sono le pere dal marchio Dop, il formaggio Canestrato di Molinterno, unico IGP in Italia, i fagioli IGP di Sarconi richiesti anche all'estero, ecc., ma ora la valle è diventata la piattaforma estrattiva più grande dell’Europa continentale, ci sono circa 700 Km di condotte sotterranee che confluiscono nei centri oli di Tempa Rossa e Viggiano, e da qui con altri 136 Km fino a Taranto; condotte non monitorate, soggette ad alta corrosione con una vita nominale di 10 anni, che andranno a compromettere le risorse idriche e l’alterazione della catena alimentare (sono stati trovati idrocarburi anche nel miele delle api).
Il petrolio in Val d’Agri si estrae dal 1981, con il primo pozzo di Costa Molina 1, e attualmente ci sono oltre 400 siti contaminati dalle attività estrattive (dati della Commissione Bicamerale), ma la rete di monitoraggio è stata attivata solo nel 2011; cosa sia successo in oltre 30 anni ce lo possiamo solo immaginare.
Attualmente sembra che l’ agenzia ambientale regionale, senza bilancio da 2 anni (!) non esegua più i monitoraggi per mancanza di fondi (?!).
In certe zone c’è un sentore di idrogeno solforato (H2S) che ha una tossicità paragonabile al cianuro ed entra nel ciclo vegetativo attraverso il processo di fotosintesi. Secondo l’OMS il limite di rilascio di H2S non dovrebbe essere superiore a 0,005 (ppm), mentre in Italia il limite massimo era fissato dal DM 12 luglio 1990 (ora abrogato) in 5 ppm per l'industria non petrolifera e 30 ppm per quella petrolifera (seimila volte più alto!).
Solo da quest’anno, con la legge n. 68 del 22 maggio 2015, sono state apportate modifiche anche al Codice Penale per quanto riguarda i delitti contro l’ambiente.
Il lago del Pertusillo, bacino idrogeologico strategico per 5 milioni di persone tra Basilicata e Puglia, è eutrofizzato e inquinato da idrocarburi pesanti, non si può pescare, ci sono morie di pesci, a Viggiano l’uva cresce con una patina d'olio sui chicchi, intorno al pozzo di Costa Molina 2 di Montemurro muoiono le pecore e i terreni sono lasciati incolti.
Le compagnie petrolifere minimizzano come pure le Amministrazioni locali che percepiscono le royalties.
Per non parlare della radioattività dei fanghi da estrazione dove, sempre secondo l’OMS, non si dovrebbe superare 0,1 Becquerel/L mentre nelle tabelle dell’ARPAB compaiono valori rilevati di 0,945 Bq/L.
Ma il vero scandalo sono proprio le royalties al 7% (di cui l’85% alla Regione e il 15% ai comuni sedi di impianti), pagate dall’Eni e dalle altre società (Total, Shell, ecc.), se confrontate con la percentuale dell’80% pagate alla Norvegia e all’Indonesia, o il 90% alla Libia (fonte UNMIG).
Almeno fino a che l’ENI era statale, tutti i proventi, bene o male, andavano alle casse nazionali, ma dal 1992 è diventata una S.p.A. e lo Stato italiano ne detiene solo il 30%; a beneficiare della maggioranza dei dividendi ci sono gli U.S.A., Canada, Gran Bretagna, Irlanda e diversi altri stati dell’U.E., mentre alla popolazione lucana arrivano solo le briciole (3%) sotto forma di un bonus idrocarburi, da 30 a 140,25 euro, proporzionalmente alla fascia di reddito, per ogni maggiorenne patentato. Elemosina di Stato rifiutata da molti lucani che conservano una dignità solida da secoli e si rifiutano di partecipare a tale offensivo addomesticamento delle coscienze.
Se la Basilicata ricevesse le royalties in misura equa, per esempio la percentuale del 45-50% come in U.S.A. e Canada (si tratta di miliardi e non i pochi milioni attuali), sarebbe in grado di pagare uno stipendio a tutti i residenti, e soprattutto eseguire le opere indispensabili per la salvaguardia del territorio.
Invece è una delle regioni più povere d'Italia (dati Istat), con una percentuale di morti per tumore in crescita rispetto alla media nazionale (dati Associazione Italiana Registro Tumori).
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(Fino a qualche anno fa era in testa il Trentino Alto Adige per l’uso intensivo di pesticidi, fungicidi e antibotritici nei frutteti e vigneti. Da quando si sono inventati la “lotta integrata”, tutto procede come prima, i pesticidi sono diventati fitofarmaci, e most environmentally friendly, fitosanitari e agrofarmaci, quindi se ne parla di meno, mentre per il nostrano distretto del Prosecco, quando finalmente [se mai] si conoscerà l’effettivo livello di inquinamento da pesticidi, per esempio il cancerogeno “mancozeb” utilizzato da oltre 40 anni, ci sarà da ridere, anzi da piangere).
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I 2/3 del territorio Lucano è ormai interessato da concessioni ed esplorazioni petrolifere, e la colonizzazione da parte delle compagnie petrolifere continua imperterrita, tra le altre anche la multinazionale russa Geogastock con il previsto mega impianto di stoccaggio a Ferrandina MT (dove l’Agip era presente già dal 1961), distruggendo l’ambiente e infischiandosene anche del rischio sismico.
Petrolio e gas dovrebbero essere estratti solo nei deserti oppure offshore, ma l’attuale Governo intende raddoppiare la produzione in Basilicata sulla base del Decreto Sblocca Italia che qui chiamano “sblocca trivelle”, che andrà ad interessare anche il Parco Nazionale del Pollino, e pure la zona del Vulture, distruggendo quod Deus avertat, l’Aglianico, il vero “oro nero” della Basilicata.
Ci sono ovviamente i comitati “no triv” e la “Ola” (Organizzazione lucana ambientalista), ma come ogni comitato, combinano poco. Questa Regione sarebbe l’unica ad avere valide motivazioni per proclamare la secessione, se vuole salvare il suo patrimonio ambientale e culturale.