Traforo e dintorni
Con l’inizio dei lavori del “traforo di Santa Augusta” di Vittorio Veneto, variante della S.S. 51 “di Alemagna”, c’è un rinnovato interesse intorno al problema da parte dei NO TRAF, NIMBY, favorevoli, contrari, movimenti di opinione e comitati vari, ognuno con una sua propria visione: il traforo s’ha da fare, non s’ha da fare, chi lo vuole lungo, chi lo vuole corto, e in questo contesto se mi aggiungo al coro, pour parler, spero nessuno avrà da obiettare.
È anche comprensibile tutta questa agitazione, il problema del transito attraverso la stretta di Serravalle è vecchio di millenni, in quanto nell’area del Nord-Est, questo era uno dei quattro accessi principali tra Nord e Sud, da e verso la pianura, e Serravalle è il passaggio più ostico rispetto agli altri tre (le valli di Quero, Venzone e Cividale), con l'unica strada di via Riva (l’attuale via Roma) incassata tra il lato scosceso del monte Cucco e sull’altro lato il Marcantone con l’orrido del fiume Meschio.
Già in epoca protostorica per il controllo del passaggio, Veneti ed Euganei se le sono date di santa ragione, tra di loro e a turno contro i Reti e Galli Cenomani, e anche con gli Etruschi, fino all’arrivo dei Romani che pensarono bene di presidiare il sito per il controllo di quella che probabilmente era una variante della via Claudia Augusta Altinate.
La viabilità rimarrà inalterata per tutto l’alto Medioevo, ed anche quando La Repubblica di Venezia, nel 1337, prenderà possesso della contea Caminese, le cose non cambieranno, anzi a scopo difensivo si restringono le porte di accesso alla città, con la costruzione di ulteriori sbarramenti a Nord per scongiurare una possibile invasione.
Fino al 1420 Venezia era interessata al mare e quasi nulla alla terraferma; nel 1360, per evitare il fastidio delle frequenti diatribe tra i vari signorotti locali, ordinava la demolizione o la trasformazione in residenza di quasi tutti i castelli compreso quelli della pedemontana e nel 1411, dopo l’occupazione del Patriarcato, per gli Ungari è una passeggiata arrivare a saccheggiare anche Serravalle, per poi ritornare indietro, quasi indisturbati, carichi di bottino e prigionieri.
Serravalle rimarrà in mano ungara e del conte di Gorizia e Tirolo, che la utilizzeranno come base per le razzie nel circondario, per almeno 7 anni fino a quando Venezia decide che è ora di rientrarne in possesso, incaricando prima Tristano di Savorgnano e quindi il condottiero Filippo Arcelli che sorvolando sul dubbio se all’interno ci fossero ancora cittadini Serravallesi oppure solo Ungari, procederà con un secondo saccheggio, peggiore del primo, secondo il metodo adottato dal legato pontificio Arnaud Amaury, abate di Cîteaux all’assedio di Béziers del 22 luglio 1209: “Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius” (Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi).
Dopo il secondo, arriva anche il terzo saccheggio, effettuato nel 1509 dal Brandolini, comandante della piazza, che prima abbandona la città per paura degli Imperiali della lega di Cambrai, salvo poi ritornare qualche giorno dopo, per salvare la faccia nei confronti di Venezia, e con cernite della Vallata e di Fregona, incendia la città, compreso il palazzo della comunità.
Come se non bastasse ci si mette anche il fiume Meschio con l’inondazione del 18 ottobre 1521, causata da una frana in località Forcal che farà tracimare l’omonimo laghetto, con la devastazione della parte bassa della città nella quale sarà modificata anche la viabilità.
La salita di via Riva (o via Roma) rimane comunque indenne dalle devastazioni e continua la sua funzione di transito per i commerci Nord-Sud; la possiamo immaginare a quel tempo come una bolgia infernale per la confusione e il rumore di carri e animali da traino, tanto che a Venezia, in presenza di frastuoni, charivari, o tafferugli vari, si usava il detto: “Vien zo Saraval co’ tute le so musse”.
Con l’arrivo di Napoleone nel 1797, si prende coscienza della necessità di bypassare il traffico di via Roma e nel 1827 si inizia la costruzione di via Gherardo da Camino, portata a termine nel 1830 dagli Austriaci, con la distruzione delle strutture storiche di sbarramento sul fiume Meschio (tanto, se non lo avessero fatto gli austriaci, lo avrebbero fatto qualche anno dopo l’Italcementi, la Sade o l’Enel, oppure i Serravallesi, anche senza alcun motivo).
Ma intanto il traffico è aumentato, e come si sa, i centri storici non sono dimensionati per i veicoli a motore, per cui agli inizi del 1930, dopo la costruzione della circonvallazione di Borgo St. Giovanni, appare la prima idea del traforo che viene accantonata a causa del terremoto del 1936 e della 2^ guerra mondiale.
Dopo la 2^ guerra, rispunta l’ipotesi del traforo del cui itinere fino ai nostri giorni, essendone piene le cronache, sono felice di essere esentato dal riferire.
Allo stato attuale sembra non ci sia più nulla da fare, “les jeux sont faits”, c’è un progetto approvato, un contratto firmato, una impresa è stata incaricata, i lavori sono in corso (the dogs bark but the caravan passes on), e in questa situazione i ricorsi servono solo a fare perdere tempo e sicuramente a fare ingrassare gli avvocati.
Ancora meno servono i sopralluoghi a scopo teratologico o con funzione apotropaica dei vari ambientalisti, dai quali emergono solo slogan ripetitivi con pubblicazione su giornali locali di piantine del progetto non aggiornate e fuorvianti, senza alcuna reale informazione alla popolazione alla quale bisognerebbe invece dare qualche notizia seria, per esempio: la presenza in cantiere di macchine perforatrici per la posa di pali in zona di risorgive, presuppone anche l’utilizzo di un qualche procedimento per isolare le perforazioni e impedire l’inquinamento delle falde.
Quindi, tanto per sapere, cosa è stato usato? Bentonite, polimeri sintetici, polimeri organici biodegradabili, polisaccaridi naturali? Inoltre, è stato controllato se esistono pozzi piezometrici per il monitoraggio giornaliero/settimanale/mensile dell’inquinamento dell’acqua? Il monitoraggio polveri nell’aria? Il monitoraggio del Radon?
C’è chi invoca l’intervento della Magistratura a seguito della sentenza del TAR, per quella storia della terza reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio che sarebbe illegale ai sensi del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per la pubblica utilità, di cui al D.P.R. 08/06/2001, n. 327 e s.m.i.
Sarebbe illegale, appunto, perché tra le maglie del T.U. e a colpi di varianti del PRG, e non solo, ci sarebbero vari modi di aggiustamento della norma per far proseguire tranquillamente i lavori, per converso bisognerebbe trovare un giudice che non ha proprio nulla da fare per interessarsi al problema, ma siccome “de minimis non curat praetor”, sarà meglio metterci una pietra sopra.
Inoltre, a meno che impresa e ANAS non decidano per motivi loro di soprassedere al progetto, per quelli che sperano che all’impresa convenga sospendere subito i lavori che non sarà in grado di portare a termine, alla luce della citata sentenza, per non incorrere nella pesante multa prevista per la mancata ultimazione dei lavori entro la data prevista da contratto, bisogna dire che può succedere anche il contrario, come è già successo altrove.
Se qualche sprovveduto “NO TRAF” avesse in mente una qualche strana azione intesa a bloccare i lavori in corso, farà meglio pensarci sopra, perché potrebbe subire sulla sua pelle una azione risarcitoria per tutta una serie di addebiti, dal risarcimento danni per fermo macchina, fermo cantiere, spese generali, mancato utile, mancata produzione, deperimento materiali accantonati che nessuno sa quanti e quali, in poche parole un incubo da 25.000,00 a 30.000,00 €/giorno da pagare, oltre a spese legali per l’azione di rivalsa dell’impresa nei confronti dell’ANAS che a sua volta suonerà alla porta dei “NO TRAF”.
Ma non c’è da preoccuparsi per questa eventualità perché il popolo veneto non è mai stato combattivo; qui si può organizzare al massimo una “Jacquerie” limitata ad un assalto al forno ma solo in caso di fame nera.
A questo punto se si vuole continuare a parlare del problema, bisogna apportare almeno un minimo contributo di pensiero.
È demenziale che le due principali vie interne di un centro storico di impianto medievale, siano ancora completamente impegnate, longitudinalmente lungo tutto l’abitato, da una viabilità statale, il cui traffico nelle due direzioni converge nel punto più stretto; non mi viene in mente nessuna situazione similare, quindi:
1. Traforo o non traforo, tutto il traffico pesante di attraversamento, deve essere dirottato sull’autostrada A27, libera o a pedaggio che sia, altrimenti per che cosa e stata costruita?
2. Il traffico locale, non interessato a fermarsi nel centro storico, deve avere la possibilità di un rapido attraversamento che può essere attuato solo con un tunnel, inteso per bypassare la stretta e non per fare il giro dell’oca con una circonvallazione inutile;
3. Esclusi i veicoli dei residenti, il centro storico deve essere pedonalizzato, con possibilità di chiusura completa in caso di manifestazioni varie;
4. Serravalle è un luogo con rilevanza culturale quindi deve essere assicurata la possibilità di accesso da parte di visitatori esterni mediante comode aree di sosta poste in prossimità del centro storico.
Senza inventare nulla, basta uscire dal cortile di casa e andare a vedere cosa si fa nei centri storici di tutta Europa, ognuno con le proprie peculiarità e situazioni particolari. Tanto per citare un esempio vicino, come Asolo: ci si può andare in auto ma solo perché esiste un parcheggio, però il centro chiude completamente in certe occasioni, con servizi alternativi, e non esiste traffico di attraversamento, tanto meno autotreni incastrati in mezzo a edifici storici.
Negare la necessità di un tunnel significa non avere a cuore il centro storico e rinchiudersi in una stanza fissando la parete vuota senza alcuna speranza di un futuro che per realizzarsi ha bisogno anche di vie di comunicazione per le quali bisogna inevitabilmente pagare un prezzo in termini di utilizzo del territorio.
Cosa credono i seguaci di Seneca, che l’immobilismo crei una età felice come era prima dei giorni degli architetti, prima dei giorni dei costruttori? "Mihi crede, felix illud saeculum est ante architectos diebus ante manufactores”, (Believe me, that was a happy age, before the days of architects, before the days of builders), e per quelli dello slogan “no traforo, si alternative”, quali sono le alternative? Una mulattiera? Una Funivia? Remare controcorrente nel Meschio?
Ciò detto, il percorso “La sega-Rindola-Via Virgilio”, con qualche aggiustamento, può essere considerato una soluzione fattibile e soprattutto di rapida esecuzione visto che coincide con il progetto in corso (vogliamo perdere questa opportunità e continuare a cincischiare per altri 50 anni?).
A dire la verità, avevo intenzione di illustrare una soluzione più razionale ma proprio mentre scrivevo questo post mi giungeva notizia che il comune sembra abbia commissionato un incarico, verosimilmente per lo stesso motivo, perché l’importo stanziato non credo serva solo per conteggiare la transumanza dei veicoli; quindi non ho intenzione di rubare il lavoro a chi è pagato per farlo.
Il percorso medio, cioè l’eventuale l’allungamento per esempio fino a via Vittorio Emanuele, senza un accesso in prossimità del centro storico, renderebbe inattuabili i precedenti punti 3 e 4, e a lungo andare, la morte di Serravalle.
Ci sono poi quelli che vogliono il traforo lungo “La Sega-dietro il poligono” (uno slogan, un programma), ma l’allungamento del percorso senza un accesso in prossimità, significherebbe la completa enucleazione di Serravalle, inoltre bisogna spiegare che qui c’è un equivoco perché “dietro il poligono” significa che siamo già in comune di Cappella Maggiore, e quindi il traforo non è “La Sega-Costa” ma “La Sega-Anzano” (probabilmente la seconda dicitura gli sembrava troppo “naive”), dove per l’innesto nella SS442 del Cansiglio sarà necessario spostare verso Est la rotatoria del bosco degli ulivi, oppure costruirne una seconda in comune di Cappella Maggiore, e quanto a impatto ambientale non sarà certo inferiore a quello per l’uscita del traforo a Rindola.
Ma in questo caso non ci sono proteste, perché quelli di Cappella Maggiore sono piuttosto refrattari ai problemi ambientali e poco gli importa di vigneti e Horti Sallustiani da spianare, anzi in questa zona albergano sedicenti fini luminari in urbanistica e accaniti sostenitori dell’uscita del traforo lungo, con folate di “fumus” di conflitto di interessi che ogni tanto si innalzano intorno all’area della locale stazione di servizio.
A parte che, per questa soluzione, non si capisce quale sia il traffico da intercettare; era una ipotesi che poteva essere valida quando non esisteva ancora il collegamento tra la A27 con la A28 per cui tutto il traffico sulla direttrice Udine-Pordenone-Belluno, doveva uscire per forza all’ultimo casello di Sacile e avrebbe potuto trovare conveniente proseguire per Cordignano-Pinidello-Cappella Maggiore-Anzano.
L’altra ipotesi mostruosa, spero definitivamente decaduta, era quella di partire dalla rotonda del bosco degli ulivi e distruggendo quello che rimane dei prati di Meschio, con un attraversamento in diagonale, arrivare a S. Martino di Colle Umberto, località Campion, quindi proseguire fino alla SS 51 (Menarè) mediante altra proposta fantasiosa di “tombinamento” del canale dell’Enel, una specie di doppione dell’autostrada.
Ovviamente qui si sta parlando solo del problema urgente del superamento di Serravalle, se poi è dimostrato che il territorio, oltre all’autostrada, ha anche necessità di una circonvallazione intercomunale, se ci sono disponibilità economiche ed è comunque garantito il collegamento in prossimità del centro storico, non sono contrario ai trafori lunghi, anzi, dato che ci siamo, piuttosto che uscire “dietro il poligono” che mi si rovina la vista della retrostante amena collina del “Castrum Theodorici”, perché non proseguire perforando anche le colline di Anzano e Cappella Maggiore in modo da sfociare nella piana di Pinidello, creando il tunnel “La Sega-Pinidello”?
Meglio sarebbe/sarebbe stato, impiegare le risorse per il percorso/traforo delle Mire, fino alla zona del Soligo dall’uscita Sud dell’autostrada come era stato ipotizzato all’epoca della costruzione della stessa, che avrebbe contribuito allo sviluppo congiunto con quell’area, che ormai gravita su Conegliano, liberando la strada della Vallata per il traffico locale e turistico.
Questo comunque, assieme alla perduta opportunità termale di Vittorio Veneto si sta rivelando un romanzo ucronico che è meglio dimenticare. Tramontata anche l’ipotesi del casello di Scomigo, si spera almeno venga realizzato il collegamento diretto della Zona Industriale con la bretella Pinto, dato che via “Sotto le Rive” non sembra un accesso idoneo dall’autostrada per una delle maggiori Zone Industriali della provincia.
Tanto per finire, siccome non ci facciamo mancare nulla, Vittorio Veneto risulta inserito nell’elenco dei comuni del Veneto con accelerazione massima al suolo ag>0,125g (desunto dall’allegato 7 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3907/2010), quindi, senza fare del terrorismo, supponiamo che il territorio di Serravalle venga colpito da un sisma non catastrofico ma di intensità medio-alta, con magnitudo 6,5 Richter, pari a quello registrato a Tolmezzo in Friuli nel 1976.
Tramite un programma di simulazione sismica, come previsto dalle “Nuove norme tecniche per le costruzioni”, risulterebbe il collasso dell’87% del centro storico con probabili frane in particolare sul lato del Marcantone.
Per consentire un minimo di viabilità saranno necessarie alcune settimane, con il completo isolamento della popolazione a Nord della stretta, dove si possono costruire campi di accoglienza con tutti i servizi, con utilizzo di elicotteri per i rifornimenti ed emergenze per il trasporto di eventuali feriti presso l’ospedale di Costa, ammesso e non concesso che tale struttura rimanga operativa, e lo stesso dicasi per l’ospedale di Conegliano.
Dipende dalla durata del sisma, ma con magnitudo 6,5 Richter, è solo una pia illusione che sia assicurata l’agibilità di questi due ospedali che sarebbe stato meglio demolire con la costruzione di una struttura strategica in zona baricentrica, ma anche questo è un altro capitolo.
Però a nord di Serravalle ci sarà sempre e comunque qualcosa che non ne vorrà sapere di rimanere bloccata. Senza evocare eventi biblici come quello accaduto nel 1521, oppure il Vajont (but, do you remember Refrontolo 2014?), l’eventuale ostruzione del fiume Meschio nella stretta di Serravalle, con l’eventuale danneggiamento della condotta Enel, magari in concomitanza con una weather bomb, è certamente uno scenario poco rassicurante.
Non ho visto le specifiche tecniche del progetto del tunnel di St. Augusta ma spero si sia tenuto conto di ogni eventualità; è già successo un paio di anni fa al confine tra l’Austria e l’Ungheria dove una frana aveva ostruito un piccolo corso d’acqua, formando uno sbarramento che sarebbe sicuramente crollato, se un breve tunnel stradale non avesse consentito lo scarico dell’acqua.