L’Asia schiaccerà il wahabismo. L’Europa invece…
L’Asia schiaccerà il wahabismo. L’Europa invece…
Maurizio Blondet 18 novembre 2015
Il governo di Delhi si sta allarmando della “wahabizzazione” dei musulmani d’India. Sul periodico militare Indian Defence Review di settembre 2014 un analista, il generale Afsir Karim ha raccontato come i sauditi stanno dominando (anzi cancellando) le altre forme di Islam, shia, sufi eccetera, pompando milioni di petrodollari in mosche e madrasse dove i loro imam insegnano che “chiunque sia fuori dal wahabismo è un eretico e brucerà nell’inferno”.
Questa dotrtina di intolleranza e violenza sta polarizzando le società dal Bangaladesh al Pakistan. “Da Karachi al Kyber, a milioni di studenti viene insegnato che Osama Bin Laden è un martire”. In Bangladesh, si registrano attentati esplosivi verso istituzioni laiche e contro le donne; due partiti in grande crescita, JEI (Jamaat-e- Islami) e JMB (Jama’at ul Mujahideen Bangladesh) vogliono fare del paese miserabile uno stato islamico, portandolo al mondo di pensiero del 13 mo secolo.
In India, il wahabismo è ormai ampiamente penetrato nelle madrasse e moschee, non solo emarginando il tradizionale Islam indiano ( sufi), ma hanno cominciato, in Kashmir, a far saltare le tombe sufi.
Entità che si chiamano Tablighi Jamaat e Ahle-Hadith predicano, e talora impongono alle famiglie di basso livello sociale, matrimoni fra bambini e che cessino di mandare le bambine a scuola.
Non si tratta solo di ideologie regressive, ma anche violente: si insegna che indù, ebrei e cristiani sono idolatri da decapitare.
Nel 2001 l’organizzazione Students Islamic Movement of India (SIMI) ha dichiarato che per gli islamici del sub-continente era venuta l’ora di lanciare il jihad armato e instaurare il califfato. Sono nate organizzazioni clandestine come il Gujarat Muslim Revenge Force, il Muslim Defence Force e lo Islamic Defence Force con lo scopo di addestrarsi alla violenza (o contro la violenza dei gruppi nazional-teppistici hindu seguaci dell’ Hindutva, forti in posti come il Gujarat).
La saudizzazione, la dottrina dell’intolleranza, sta polarizzando i musulmani dell’India – una “minoranza” che nel 2050 supererà la popolazione di quello che oggi è il più popoloso stato musulmano, l’Indonesia – promettendo al mega-continente un futuro di sanguinosissime guerre di religione?
A Delhi si accusa chiaramente l’ambigua politica di Washington, complice del regime saudita. “Gran parte dei miliardi di dollari in armamenti che la Cia diede per i ribelli afghani (contro l’URSS) negli anni ’80 sono anche finiti, attraverso i condotti del l’Inter Service Intelligence ( servizi pakistani, ndr.) a scatenare le insorgenze di Kashmir e Punjab”, ha scritto Brahma Chellaney, il massimo analista strategico indiano; “e paradossalmente Washington ha usato il contro-terrorismo come strumento per stringere con l’India una partnership strategica”. Insomma, giocando su due tavoli.
Anche Dennis Ignatius, un vecchio e sperimentato diplomatico della Malaysia (è stato ambasciatore a Londra, Pechino e Washington) vede nell’estremismo esportato dai sauditi il massimo pericolo oggi per la stabilità del Sud-Est asiatico. Una quantità di giovani dall’Indonesia e dalla Malaysia, da Singapore e dalle Filippine sono stati radicalizzati e si sono arruolati nella guerriglia in Siria, così numerosi che il Califfato ha anche costituito una unità militare solo per parlanti Malay, il Katibah Nusantara Lid Daulah Islamiyyah (Malay Archipelago Unit for the Islamic State in Iraq and Syria).
L’ex ambasciatore è addirittura esterrefatto nel vedere che nella sua Malaysia, nazione costituzionale e democratica, si parla adesso di introdurre “ amputazioni delle mani, lapidazioni, crocifissioni” nel sistema penale.
Anche lui punta il dito contro la monarchia Saudita, che “ha speso più di 100 miliardi di dollari in due decenni per esportare una cultura di intolleranza, odio e violenza”. Un ex primo ministro della Malaysia, Lee Kuan Yew, non ha alcuna remora ad accusare l’Arabia Saudita di essere “l’ape regina” che diffonde il terrorismo in Asia e la sua “velenosa religione”.
Fin dagli anni ’70, dice, i sauditi hanno pompato di soldi madrasse e moschee con il compito di radicalizzare la gioventù nell’Asia meridionale, e diffondere le WMD, che non sta per “weapons of mass destruction” (Armi di distruzione di massa) ma “Wahabis of Mass Destruction.
Non bastano le azioni militari, aggiunge: “se uccidi i terroristi uccidi solo le api operaie. Bisogna colpire le api regine, gli imam che storcono la mente dei giovani”. Schiacciare la testa al serpente
La questione è tanto grave, che il primo ministro in carica di Singapore, Lee Hsien Loong , ha radunato in aprile un simposio contro il terrorismo islamista durante il Summit dell’Asia Orientale: non ha avuto difficoltà a suscitare l’interesse delle nazioni dell’ASEAN (la Nato orientale) ma anche di Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Birmania, Filippine, Singapore, ma anche di Thailandia, Vietnam, Australia.
Contemporaneamente Pechino ha ammesso nella SCO (Shanghai Cooperation Organization) l’India oltre gli attuali membri (Russia e Cina, e le quattro repubbliche ex sovietiche Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tagikistan ed Uzbekistan – in funzione specifica di rafforzare l’antiterrorismo wahabita.
Un primo risultato concreto: le nazioni del Summit (EAS) e dell’ASEan, oltre che dello SCO, si sono impegnate a diversificare i loro approvvigionamenti energetici escludendo via via come fornitore l’Arabia, per non essere loro a pagare il conto del terrorismo wahabita. Già l’estate scorsa, L’India ha sostituito l’Arabia con l Nigeria come fornitore, e la Cina, come si sa, la Russia.
E’ appena il caso di notare come contrasta questa precisa strategia punitiva anti-saudita con l’ambiguo doppiogiochismo degli europei, per non parlare degli americani.
Hollande fa’ affaroni vendendo armi ai sauditi, tiene bordone ai wahabiti che in Siria combattono il governo laico di Assad; l’Europa aderisce al gran progetto idiota (voluto dagli Usa) di tagliare la Russia come fornitore energetico della UE, rimpiazzandolo con quello del Katar, attraverso una pipeline che passerà dalla Siria (una delle vere cause per cui vogliamo la caduta di Assad) .
Insomma facciamo a gara a vendere ai wahabiti la corda con cui ci impiccheranno, o il coltello con cui ci taglieranno la gola.
Ci si domanda se, in fondo, tra la “modernità” occidentalista, protestante e neocon, o solo “trasgressiva” e laicista, e il wahabismo non ci sia un’affinità più profonda di quel che credono: entrambi distruggono ogni segno di tradizioni, odiano la complessità, il passato,la cultura…
Peggio: sullo Huffington Post (riporta Christina Lin) Alastair Crooke, un agente britannico dello MI6, propone di usare il wahabismo per indebolire la Russia, minandola nella sua minoranza musulmana; la stessa ricetta una rivista della marina militare Usa propone per la Cina: Deterring the Dragon è il titolo di un articolo sui benefici che gli Usa otterrebbero provocando la rivolta degli Uiguri.
Anche in questi giorni, nei nostri media, si ripete il mantra secondo cui “non si può sconfiggere l’ISIS finché Assad non cade”, che è esattamente la propaganda turco-saudita – senza nemmeno spiegare il collegamento fra le due cose.
Evidentemente Dio toglie la ragione a coloro che vuol perdere.
Persino Henry Kissinger, sul Wall Street Journal, ha scritto che “la distruzione dell’IS è più urgente della cacciata di Bashar Assad, che ha già perso oltre metà del suo territorio…assicurarsi che questo territorio non diventi un santuario terrorista permanente deve avere la precedenza”.
Ora, nemmeno questo semplice buon senso da noi viene ascoltato. Putin batte il ferro finché è caldo – approfittando dell’effetto-Parigi – per obbligare la Francia ad affiancarsi nella lotta vera al wahabismo. Non crede nemmeno lui che durerà. Per questo i bombardamenti sono intensificati, con centinaia di uscite coi Tupolev strategici.
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