“BUON 25 APRILE” VERITA’ STORICHE FUORI DA HOLLYWOOD
Negli ultimi anni di guerra, in particolare dal 1943, apparvero ovunque movimenti di Resistenza.
Ciò nasceva con lo scopo principale di cooptare la rabbia e il desiderio dei popoli di cacciare gli occupanti e di porre fine ad una guerra che aveva portato molti alla disperazione.
Il pericolo che gli anglo-americani volevano scongiurare era quello che i popoli, alla fine della guerra, si sentissero liberi di costruire un assetto a loro più favorevole.
Occorreva istituire una Resistenza che assumesse carattere popolare, ma i cui maggiori esponenti, controllati dagli anglo-americani, potessero, dopo la guerra, diventare la nuova classe dirigente.
Combattendo per la libertà, i gruppi di resistenza avrebbero suscitato molta fiducia nelle popolazioni, e dopo il conflitto sarebbero stati considerati eroi, e investiti di importanti cariche politiche. I retroscena sarebbero rimasti nascosti, e il finanziamento della Resistenza da parte degli anglo-americani sarebbe stato considerato un elemento secondario o poco rilevante. Le Resistenza nasceva anche dall’esigenza di riaffermare i valori popolari di lealtà, sacrificio ed eroismo. I gruppi di resistenza furono soprattutto social-comunisti, ma parteciparono anche partiti conservatori di ispirazione cristiana.
Era molto importante controllare capillarmente tutti i gruppi della resistenza, per potersi assicurare dopo la guerra una completa sottomissione. Il controllo dei gruppi di resistenza italiani da parte degli anglo-americani fu totale, e i gruppi che non vollero sottomettersi al controllo furono distrutti.
Il 1° febbraio 1944, nella rivista Prometeo, così definiva la Resistenza italiana un gruppo di comunisti: “Nate dallo sfacelo dell’esercito, le bande armate sono, obiettivamente e nelle intenzioni dei loro animatori, degli strumenti del meccanismo della guerra inglese”.
I gruppi di lotta antifascista italiani furono riuniti nel CLNAI, che fu finanziato e comandato dagli anglo-americani. L’accordo dei gruppi di resistenza, chiamato Protocolli di Roma (un documento in inglese), fu firmato il 7 dicembre del 1944, dal generale britannico Henry Maitland Wilson e i più importanti capi antifascisti: Ferruccio Parri (”Maurizio”), Alfredo Pizzoni (”Pietro Longhi”), Giancarlo Pajetta (”Mare”) e Edgardo Sogno (”Mauri”).
I partigiani, sulla base dell’accordo, avrebbero ricevuto 160 milioni di lire e sarebbero stati obbligati ad obbedire al capo militare del Corpo Volontari della Libertà, nominato dagli anglo-americani. Scrive lo storico Renzo De Felice: “Rompere con gli Alleati, per la Resistenza, era impossibile: sarebbe stata la catastrofe economica … Gli Alleati sapevano di avere in mano le carte migliori: la forza militare e gli aiuti economici. Se per mantenere un partigiano, alla fine del 1943, servivano mille lire, agli inizi del 1945 ne costava 3 mila e anche 8 mila, nelle zone più dispendiose. Insomma, la questione economica si era fatta politica. Un esercito così grande non poteva autofinanziarsi: le requisizioni, tassazioni forzate, colpi di rifornimento e cioè rapine, grassazioni, furti stavano compromettendo, in quel lungo inverno del ‘44, l’immagine stessa del movimento sul territorio. Gli esiti sarebbero stati catastrofici. Bisognava razionalizzare il sistema di finanziamento al di là delle sovvenzioni degli industriali, che però man mano che il tempo passava avevano sempre più paura dei tedeschi, e degli aiuti dei servizi segreti inglesi e americani. Fu questo il capolavoro di Pizzoni. I soldi degli Alleati arrivavano a Milano dal Sud passando per la Svizzera.[1]
Dal 1943, fu imposto all’Italia il governo militare Amgot (Allied Military Government of Occupied Territories), che aveva fra i suoi obiettivi quello di mantenere il vecchio assetto oligarchico. A tal scopo vennero utilizzati gli ex fascisti, che entrarono a far parte delle strutture amministrative e politiche.
Soltanto un piccolo gruppo di fascisti molto noti furono arrestati, gli altri cambiarono divisa e si posero a servizio degli anglo-americani, traendone parecchi vantaggi. Scrive Kolko: “Gli ex funzionari fascisti incominciarono presto a far uso della propria autorità allo scopo di sfruttare le scorte di aiuti per guadagni privati attraverso la borsa nera e altre forme di corruzione. In sostanza, le strutture civili, militari e di polizia del dopo-Mussolini erano ancora dominate da chi aveva fedelmente servito il fascismo per decenni, compresi quelli che si erano iscritti al partito.
L’effetto fu una "perdita di fiducia nei liberatori" come la definì un ufficiale statunitense incaricato di affari civili, oltre a un numero crescente di proteste e persino di rivolte, durante le quali contro la popolazione venivano impiegati la polizia fascista e i carabinieri”.[2]
L’Amgot fu dunque un governo di tipo fascista, che mirava a controllare capillarmente la popolazione e a disarmare i partigiani che non si sottomettevano al loro potere. Nel 1944, molti partigiani furono disarmati e mandati nei campi di prigionia. Per meglio sottomettere e controllare gli impulsi popolari alla libertà ci si rivolse a Stalin. Nel gennaio del 1944, Badoglio ebbe diversi incontri con diplomatici russi, col benestare degli anglo-americani. Dopo questi incontri il Partito Comunista italiano iniziò a collaborare col governo Badoglio e a propagandare una possibile partecipazione al governo insieme ai partiti cattolici. Il 28 marzo del 1944, Togliatti tornò in Italia per organizzare il Partito sotto le direttive sovietiche.
Nel nord Italia, gli anglo-americani non avevano la totale fiducia nei partigiani del Clnai e speravano che i nazisti limitassero il potere degli esponenti più autenticamente rivoluzionari. Ma i soldati tedeschi in Italia non ebbero come obiettivo primario la repressione degli estremisti, e negli ultimi anni di guerra erano ormai demotivati e per nulla disposti a rischiare la vita per uccidere comunisti. L’Italia ebbe la particolarità di cambiare schieramento nel giro di un mese, rimanendo al fianco dei tedeschi fino al settembre del 1943. Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del fascismo votò l’ordine del giorno Grandi, in cui si chiedeva “l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali”.
Quando la guerra stava volgendo verso la vittoria degli alleati, i banchieri e gli industriali italiani decisero di eliminare dalla scena Mussolini, e di scaricare su di lui tutte le responsabilità della dittatura e della guerra, volendo figurare accanto ai vincitori, pur essendo stati ferventi fascisti. La rivista Life del 14 dicembre 1942 scriveva: “La netta tendenza in seno al regime fascista è di liberarsi di Mussolini e dei filotedeschi, ma di conservare il sistema. Oggi questa è l’idea dei grandi industriali italiani, condotti, a quanto viene riferito, da Ciano, dal conte Volpi, dal senatore Pirelli. In altre parole, un cambiamento del fascismo protedesco in un fascismo proalleati.
Igerarchi fascisti sono molto impressionati dal fortunato voltafaccia di Darlan da Vichy verso gli alleati”. Il Daily Mail del 27 novembre 1942 scrisse: “L’ultima circostanza (la designazione di Darlan) è destinata a suscitare calcoli segreti qui (a Londra) e lì (a Roma). Se le cose volgessero al peggio, non potrebbe forse essere salvata una parte del sistema fascista, gettando a mare Mussolini eventualmente col suo consenso, nonché la parte filogermanica del suo partito?”
Dichiarato decaduto Mussolini, si ammise che l’Italia era stata vittima di una dittatura, e le responsabilità di ciò vennero attribuite esclusivamente a Mussolini, che fu arrestato su mandato del re.
Fu occultato il pieno appoggio che l’intera élite economico-finanziaria aveva dato al Duce, e di come quest’ultimo fosse stato utilizzato per imporre gli interessi di un ristretto gruppo di banchieri e industriali. Da un giorno all’altro Mussolini diventò fuorilegge, e il fascismo, da governo riconosciuto e acclamato dall’élite, dalla Chiesa e dal re, diventò un regime da cui sbarazzarsi quanto più in fretta possibile. Persino il Popolo D’Italia, giornale fondato da Mussolini, il 26 luglio del 1943 cancellava dalla testata la frase “fondatore Benito Mussolini” e scriveva a chiare lettere “Nell’ora solenne che incombe sui destini della patria. Badoglio è nominato capo di governo. Dimostrazioni patriottiche in tutta l’Italia. Viva l’Italia!” Mentre prima “patriottismo” significava “fascismo”, adesso significa antifascismo.
Che la nuova situazione non fosse propriamente “democratica” lo si vide presto, dato che i massacri dei lavoratori in sciopero non cessarono, anzi aumentarono. Fra il 25 luglio e l’8 settembre rimasero uccisi 93 manifestanti, 536 furono feriti e 2.276 arrestati.
Gli anglo-americani, furono spacciati per “liberatori”, ma in realtà svolsero funzioni repressive e terroristiche ancora meglio che i tedeschi, distruggendo, uccidendo civili, violentando centinaia di migliaia di donne, e provocando una grave inflazione (le famose AMlire, per chi si interessa di moneta. N.d.F.) che produsse ancora più miseria in tutte le zone che essi occuparono. Il re, assunto nuovamente i suoi poteri, l’8 settembre firmò l’armistizio con gli Alleati, e il maresciallo Badoglio assunse la carica di governo. Il nuovo capo di governo inviò un telegramma a Hitler, per dargli ad intendere che nulla era cambiato, mentre in realtà il voltafaccia delle autorità italiane era già in preparazione. Il telegramma, fra le altre cose, diceva: “Come già dichiarato nel mio proclama rivolto agli italiani (…) la guerra per noi continua nello spirito dell’alleanza (…) mi è grata l’occasione, Führer, per porgerVi l’espressione dei miei cordiali saluti”.
Le autorità tedesche non si convinsero affatto, e progettarono l’occupazione di Roma e l’arresto del re (che fuggirà a Brindisi).
L’élite economico-finanziaria italiana, che aveva contribuito a portare al potere il fascismo e lo aveva sostenuto fino al 1943, cambiò bandiera e prese accordi con la Resistenza in Svizzera, attraverso riunioni segrete con autorità anglo-americane e personaggi della resistenza antifascista.
In seguito a queste riunioni, dirette da ufficiali anglo-americani all’inizio del 1943, gli industriali italiani (Pirelli, Agnelli, Volpi, Falck, ecc.) e gli antifascisti organizzarono i primi gruppi di resistenza.
Gli industriali italiani si erano convinti ad abbattere il fascismo, soprattutto perché esso non serviva più a tenere sottomesse le classi popolari, come aveva fatto per oltre venti anni, e poi perché volevano stare al fianco dei vincitori.
All’inizio, aderirono alla Resistenza soltanto poche migliaia di persone, in gran parte comunisti, ma nel giro di poco tempo, grazie all’appoggio popolare, il numero dei partigiani crebbe. Nel 1944 erano oltre 80.000, mentre la Guardia Nazionale Repubblicana Fascista (GNR) era costituita da oltre 200.000 soldati. Nel 1945 i partigiani diventeranno oltre 150.000. Dopo la guerra il governo italiano stimò con abbondanza il numero di partigiani in 300.000, di cui 66.000 vennero uccisi.
Al contrario di ciò che fu propagandato dopo la guerra, la Resistenza non fu l’evento popolare più significativo degli ultimi anni di guerra. Un numero di persone di gran lunga più elevato era occupato nelle frequenti sollevazioni e negli scioperi, che riguardarono quasi tutte le città d’Italia. Nei primi mesi del 1943 gli scioperi raggiunsero una frequenza che preoccupò l’élite dominante, a tal punto che essa si rivolse agli alleati per attuare la svolta, che avrebbe visto il paese occupato dalle forze straniere, e la popolazione repressa duramente.
Durante gli scioperi i lavoratori esprimevano una rabbia enorme dovuta alla consapevolezza che anni di dittatura e poi la sanguinosa guerra non erano serviti ad altro che a fiaccare le classi popolari per piegarle all’élite.
Lo storico Gabriel Kolko osservò che questi scioperi ebbero un valore assai più significativo che non le lotte partigiane: “Queste ondate di scioperi furono molto più visibili e politicamente significative, nel loro effetto sulle masse, delle attività dei partigiani.
Fino all’autunno del ’44, gli scioperi fecero quanto meno altrettanto per indebolire lo sforzo bellico, e continuarono per tutto l’ultimo anno di guerra”.[3]
L’occupazione americana non fu propriamente come venne raccontata in seguito nei libri di Storia.
Essa fu caratterizzata soprattutto da stragi, rappresaglie, umiliazioni e violenze di ogni genere a cui la popolazione in molti casi rispose ribellandosi. Soltanto negli ultimi anni, grazie a documenti trovati negli archivi americani e ad alcune testimonianze dei sopravvissuti, si è scoperto che mentre i cinegiornali di quei giorni mostravano soltanto americani ben accolti dalle folle, in realtà si verificarono numerosi eccidi e violenze contro la popolazione.
Se nell’Italia del nord sotto occupazione tedesca e in cui c’era la Repubblica Sociale rimase, seppur all’interno di un governo violento che collaborava con i tedeschi, una traccia di giurisdizione civile, nei luoghi occupati dagli anglo-americani trionfò il caos, la violenza, e in alcune zone anche la mafia.
Nel napoletano molte persone furono cacciate dalle proprie case, e chi non obbediva all’ordine di evacuazione veniva ucciso.
Fu molto elevato il numero di contadini uccisi, che erano i più restii a lasciare le proprie terre e il bestiame. Contro Napoli si abbatté un’ondata enorme di violenze da parte degli Alleati, che praticarono anche violenze sessuali, costringendo migliaia di donne a prostituirsi. Al nord Italia si ebbe, dopo l’occupazione tedesca, il governo del Comitato Nazionale di liberazione (Cln), ma al sud rimase il caos, la violenza e la fame.
L’accanimento contro il sud Italia era dovuto principalmente al razzismo e al timore che dopo una lunga dittatura le classi popolari potessero acquisire forza e avanzare rivendicazioni politiche, sociali ed economiche.
I numerosi episodi di resistenza civile in sud Italia furono occultati dalla storiografia ufficiale, che voleva salvaguardare l’immagine degli anglo-americani come “liberatori” e si limitò a mostrare le immagini della popolazione che li accolse come tali.
I giorni dello sbarco americano in Sicilia, nel 1943, furono giorni in cui i soldati americani massacrarono migliaia di persone.
Per molti anni questi eccidi sono stati occultati, ma oggi diverse stragi americane in Sicilia sono state portate alla luce.
Nel luglio del 2004, la procura militare di Padova aprì un’inchiesta sull’eccidio di civili commesso dai soldati americani nelle campagne di Piano Stella, (a sud di Caltagirone) e di 73 prigionieri italiani. L’unico sopravvissuto alla strage, raccontò: “Verso il pomeriggio tardi sentimmo qualcuno che chiamava dall’esterno del rifugio: ‘uscite fuori, uscite fuori’, la voce gridava. Così uscimmo fuori e trovammo un soldato che parlava bene l’italiano e ci chiese di entrare a casa per vedere se vi erano soldati tedeschi. Mio padre si apprestò a fare perlustrare la casa, ma quando arrivammo davanti alla porta ci accorgemmo che già i soldati avevano sfondato la porta ed erano entrati. Dopo qualche ora arrivarono altri soldati… sentii una raffica di mitra e le urla di mio padre, del mio amico e degli altri. Li avevano uccisi. Subito dopo fui preso in consegna da questo soldato che mi portò da un suo superiore. Io nel frattempo cercai di ribellarmi gridando: ‘Là hanno sparato a mio padre’ e volevo raccontare quello che era successo. Invece il superiore mise la mano in tasca e cercò di darmi dei cioccolatini, che io rifiutai e glieli scagliai in faccia. Dopo un po’ arrivarono altri due soldati e fui dato in consegna a questi… Qualche ora più tardi mi sentii spingere con il piede da un soldato. Mi fece segno di andarmene indicandomi la strada per Acate. Io volevo andare dall’altra parte, verso santo Pietro dove c’era la mia casa e mia madre… ma il soldato mi fece capire che se avessi preso quella direzione mi avrebbe sparato”.[4]
Il giorno successivo continuarono i massacri a Biscari (Acate), dove la resistenza italo-tedesca, il 14 luglio, si scontrò con la 45° divisione americana nelle campagne circostanti l’aeroporto di Biscari, in cui 36 soldati italiani si arresero alle truppe alleate. Il capitano americano John T. Compton ordinò di uccidere i prigionieri, che furono fucilati immediatamente. Lo stesso giorno, furono catturati 45 soldati italiani e tre tedeschi, 37 dei quali vennero scortati dal sergente Horace T. West, che dopo pochi chilometri costrinse i prigionieri ad avvicinarsi ad un fosso, e gridando “figli di una cagna” aprì il fuoco uccidendone 36. Uno dei prigionieri cercò di fuggire e fu colpito alla schiena; complessivamente quel giorno furono uccise 73 persone. Il generale Patton, venuto a conoscenza dei fatti, minimizzò l’accaduto. Secondo il sergente West era stato proprio Patton a ordinare di eliminare subito tutti i prigionieri.[5
Il cappellano militare William E. King, che raccolse i corpi senza vita, raccontò di aver visto alcuni corpi colpiti alla schiena e altri che avevano un foro nella testa, segno che West sparò una prima raffica di mitra e poi ricaricò l’arma, facendo fuoco su quelli che ancora erano rimasti vivi, e che colpì alla testa. L’Italia firmò un armistizio segreto con gli Alleati, il 3 settembre 1943, che fu reso noto soltanto l’8.
Nei giorni in cui l’armistizio rimase segreto gli anglo-americani continuarono ad uccidere gli italiani.
Ad esempio, il 6 settembre fu bombardata furiosamente Frascati, col pretesto che nella zona c’erano diversi comandi tedeschi, ma in realtà i bombardamenti uccisero soltanto centinaia di civili, soprattutto donne e bambini. Frascati aveva già subito altri bombardamenti il 19 luglio, e alla fine della guerra, degli 11.000 abitanti di Frascati, ben 6000 erano stati uccisi.
La situazione del Sud Italia “liberato” dagli americani era terribile, si soffriva la fame e nelle amministrazioni locali erano tornati i fascisti.
Per terrorizzare meglio la popolazione, gli americani utilizzavano un ricognitore battezzato dagli italiani “Pippo”. Si trattava di un piccolo aereo che volava basso, e dopo il suo passaggio avvenivano brutali bombardamenti.
I bombardamenti riguardarono numerose città italiane, e Churchill aveva predisposto anche l’uso del gas venefico iprite, vietato dalla Convenzione di Ginevra del 1925. Il 2 dicembre del 1943, Bari venne bombardata dai tedeschi, che colpirono la nave americana John Harvey, carica di iprite. Il gas si diffuse nell’aria e nell’acqua, provocando dolori atroci a centinaia di persone, che morirono nei giorni successivi.
Il fatto fu occultato dagli Alleati, che non volevano far sapere che erano disposti anche ad utilizzare armi chimiche.[6]
Nelle guerre non c’è mai nulla di quel romanticismo così presente nelle produzioni hollywoodiane, e mai sono come vengono raccontate dopo la loro conclusione.
Antonella Randazzo
[1] Renzo De Felice, Rosso e Nero, Baldini & Castoldi, Milano 1995, pp. 84-96.
[2] Kolko Gabriel, op. cit., pp. 329-330.
[3] Kolko Gabriel, op. cit., p. 284.
[4] Testimonianza tratta da: Ciriacono Gianfranco, Le stragi dimenticate, Edizione Provincia regionale di Catania, 2003.
[5] D’Este Carlo, Lo sbarco in Sicilia, Mondadori, Milano 1990.
[6] Picone Chiodo M., op. cit., p. 473.
Fonte: Tratto dal libro “Rivoluzioni e Guerre”
Per informazioni andare al sito: http://antonellarandazzo.blogspot.it/
P.S. anche se non condivido alcune riflessioni della Randazzo, considero questo articolo particolarmente interessante da sottoporre all'attenzione dei lettori di Controcorrente, per le accurate informazioni storiche circa gli anglo-americani.
Francesca