Grande innovazione del capitalismo avanzato: gli schiavi
Grande innovazione del capitalismo avanzato: gli schiavi
Maurizio Blondet
26 aprile 2016
Quasi ogni giorno parlo con degli schiavi. Sicuramente capita anche a voi, non vi dico niente di nuovo. E’ la signorina con accento albanese o romeno che propone mirabolanti risparmi sul telefonino (“Torna a Telecom!”), assicurazioni auto competitive rispetto a quella che avete, un altro fornitore di elettricità. Con quelli butto giù il più rapidamente possibile, cercando di essere gentile (non sempre ci riesco) perché so che sono schiavi, pagati a cottimo, licenziabili ad libitum: un economista francese li ha definiti “i famelici”.
Il peggio è quando sono io che ho bisogno di loro: un problema di software, qualche elettrodomestico che non funziona, chiarimenti su un prodotto o un contratto.
Nel capitalismo terminale, questo è esaltato come “terziario avanzato” anzi “innovativo”, “strategie di post-vendita”. “Si chiude un ordine e si apre un rapporto”, canta una pubblicità.
E’ la speranza del capitalismo più avanzato: costringerti a comprare non l’auto, ma i servizi di manutenzione, gestione, assicurazione, tutto ciò che segue nella vita dell’auto: è lì che si guadagna. Ed avanza “la società dei servizi”, tutta basata sulla “assistenza alla clientela” totale.
Nella realtà, questi “servizi alla clientela” sono – come sapete tutti – fasulli, inutili, anzi irritanti. Il giovanotto con accento estero, la ragazza albanese che risponde dal call-center, non sanno che affrontare i due o tre problemi-standard più frequenti, a cui sono stati addestrati; per il resto, “aspetti che le passo il nostro servizio tecnico”; e allora per ore spaventose musichette pop, o tuu-tuu dell’occupato (“Restate il linea per non perdere la prenotazione…”).
Se richiamate, non ritrovate mai la ragazza con cui avete parlato prima (al massimo avete il suo numero d’identificazione, se ve lo siete segnato;), sicché dovete raccontare tutto da capo. Sapendo già la risposta: “Resti in linea per il nostro tecnico”. E guai se vi esasperate: alla signorina non importa nulla del vostro problema – ha i suoi, unire il pranzo con la cena, pagare le bollette, i figli piccoli da mantenere.
Soprattutto, non ha alcun motivo per volere il bene dell’azienda – che l’ha assoldata per pochi centesimi, che sa che la licenzierà appena dovrà tagliare i costi, anzi, per cui spesso lavora attraverso un’agenzia in subappalto, che si ritaglia sulla sua magra spettanza il suo “profitto”.
Anche questo è esaltato dalle business-school con termini seduttori: “lean management”, gestione leggera e flessibile, “offshoring”, ossia subappalto dei servizi d’assistenza alla clientela ad agenzie esterne piene di sottopagati, di “famelici”. Così la ditta risparmia “sui costi” come esige non solo la business school, ma persino il Fondo Monetario, la Banca Centrale Europea, Bruxelles e Berlino.
Nella vecchia terminologia aveva un altro nome: “lavoro schiavistico”. Infatti l’economia dei call-centers presenta tutti gli inconvenienti, noti da secoli, del lavoro degli schiavi: scarsa qualità, meccanicità (e menefreghismo), assenza di lealtà verso il padrone, non volontà di risolvere autonomamente i problemi. In poche parole: un servizio deplorevole, disumanizzato. In una parola: improduttivo.
I vecchi capitalisti l’avevano imparato da secoli, si tenevano cari lavoratori, cercavano di guadagnarsene la lealtà con la fedeltà. I nuovi – finanziari, che non hanno mai visto una fabbrica, sempre alla ricerca della “innovazione” e della “gestione leggera” – quegli investitori che a Wall Street, quando IBM e Caterpillar licenziano, ne fanno rincarare le azioni perché “tagliano i costi” e dunque nel prossimo trimestre “esibiranno un profitto”- hanno completato il giro, e riscoperto che è furbissimo ingaggiare dei “famelici” schiavi, in paesi sottosviluppati, per i “servizi post-vendita”.
Così si vede che la persecuzione spietata della “massima efficienza “(massimo profitto) per “il capitale investito” finisce per essere – invece – proprio la palla al piede verso la meravigliosa “società del terziario avanzato”.
Ma quale servizio al cliente. Il cliente è sempre più consapevole di essere stretto fra la mascelle di un sistema disumano, dove l’anonimato dello schiavo (ha un numero, è introvabile alla seconda chiamata) è chiaramente lo schermo di ferro dietro cui l’azienda si ripara da lui, il cliente; il rompipalle che chiede un servizio appena un po’ superiore alle FAQ, “domande frequenti”; un servizio che non c’è fra le alternative che la voce automatica elenca: “Digiti 1 se…Digiti 2 se…”.
Ma ai capitalisti della finanza, investitori a cortissimo termine, che importa? Anzi il cliente stesso è reso sempre più schiavo: del loro interesse. Non vedete?
Andate in banca e dovete dialogare con il Bancomat, perché hanno risparmiato gli stipendi degli impiegati, e la coda per parlare con un essere umano (quasi umano) è lunghissima; al supermercato il numero delle commesse cala, e le sostituite voi stessi, clienti, passando le merci sul lettore ottico. E in cambio mica avete uno sconto; lo stipendio della commessa risparmiata se lo incamerano lorsignori. I capitalisti della massima efficienza. Una “società di servizi” senza servitori, ecco il loro ideale. E anche senza clienti, che infatti trovano sempre meno lavoro e accettano lavori da schiavi.
Il Fondo Monetario e simili istituzioni-sacerdotali del globalismo liberista e custodi dei suoi dogmi, hanno inventato un trucco per giustificare lo sfruttamento schiavistico del lavoro di albanesi e romeni.
Anche per questo hanno un termine molto avanzato e innovativo: “purchasing power parity”, PPP.
Ossia: potete pagare la ragazza albanese 400 euro, perchè in Albania il potere d’acquisto è – poniamo – il doppio di quello di Milano. In Albania, 400 euro sono come 800 da noi. Non gli state rubando niente, alla ragazza albanese.
Il trucco piace tanto, che il FMI calcola persino il prodotto interno lordo dei vari paesi in termini di PPP, di parificazione del potere d’acquisto. Così il Pil cinese diventa superiore a quello americano, il Pil brasiliano quello di un grande paese emergente. In termini di dollari resta quello di un paese sottosviluppato; ma invita “investimenti” da quelli di Wall Street. Perché là “la vita costa poco” e dunque “I salari sono competitivi”. Naturalmente, bisogna non domandarsi perché là i salari sono così competitivi, ossia così bassi. Il motivo è che il paese non ha i “costi” costituiti da: un sistema educativo da primo mondo, strade e treni da mondo avanzato, sanità da paese civile. Infrastrutture materiali ed immateriali sono “un costo”. E’ il lean management, bellezza.
In Albania, la ragazza albanese parla decentemente italiano ed è abbastanza istruita da poter fare un lavoro “di concetto”, ancorché sottopagato, sapete come mai? Perché il regime comunista, con tutti i suoi difetti, dava buona istruzione. Si sente che la ragazza ha una buona cultura generale, è sveglia, sa usare la testa. Dunque l’agenzia di subappalto, che la offre come “famelica” dal call center, sta sfruttando una infrastruttura immateriale che non è stato il capitalismo a pagare. Anzi che non vuole assolutamente pagare. Ragion per cui questa “infrastruttura” è in esaurimento; il Fondo Monetario e le istituzioni globali impongono al nuovo governo albanese, entrato nel mercato global, di restare competitivo, tagliando i costi pubblici. L’istruzione scadrà, e fra qualche anno la ragazza albanese che vi risponderà sarà del livello della sua paga: basso e scadente.
Guardate che anche in Italia sta accadendo lo stesso. Qui a Milano – a Milano! – ho un amico cinquantenne, che sa l’inglese, che ha fatto professioni a contatto con clientele per raccolte di fondi, che ha condotto persino inchieste d’intelligence – uno insomma che se la cava – e, avendo perduto il suo vero lavoro per la crisi ed una malattia, non ha altro lavoro che quello precario che gli ha dato il Comune del milanese in cui vive: “sostegno ad handicappati” in un istituto. Paga: 250 euro mensili.
Ma la speranza di entrare in non si sa quali “graduatorie”. Persino i suoi colleghi, molti dei quali ben stipendiati dal Comune, si stupiscono per la “qualità” del suo approccio con gli handicappati. “Come mai sei sempre allegro? Da dove ti viene tanto entusiasmo?” (come mai non lavori da schiavo?). Un po’ gli viene dalla sua bontà di credente, appassionato dei rapporti umani, che si è affezionato ai suoi subnormali; ma gli viene anche da una cultura generale superiore, dal lungo addestramento a fare del suo meglio durante una vita di lavoro di livello professionale, inventivo e sagace.
Una mia conoscente, ultraquarantenne, dopo periodi di disoccupazione, un anno e mezzo a fare la badante di un’amica che ora è morta di cancro, adesso ha trovato lavoro in una ditta di materiale meccanico. Da precaria, s’intende. Contrattino continuamente rinnovato, nessuna carriera, nessun riconoscimento. Da quel che capisco (ne parla il meno possibile) fa servizio di seguire dei contratti. Al telefono, da call-center interno. Un lavoro che si sarebbe detto “di concetto”; da cui dipendono anche dei bei guadagni – o dei mancati guadagni per l’azienda. Ebbene: le sue colleghe la odiano. E’ questa la sua croce: va’ al lavoro sottopagato ogni mattina, sapendo che le sue colleghe la odiano, la maltrattano, la deridono nelle sue credenze religiose (anche lei è cristiana praticante)…e sapete perché? “Tu lavori troppo! Va’ piano! Tu produci tre contratti quando noi ne facciamo uno! Ci metti in cattiva luce coi padroni!”. I padroni, poi, “se e fregano! Chi te lo fa fare, con quel che ci danno? Vuoi far carriera? A spese nostre?”.
È la mentalità degli schiavi. Presumono che lei “si voglia mettere in luce”, magari che “faccia la spia con la direzione”. In breve, hanno perso ogni senso del valore della propria dignità, del “lavoro ben fatto”: una delle glorie di cui davvero si potevano vantare i milanesi.
Adesso si perde e il lavoro scade. Dovunque è scadimento della “qualità”, quella che impone il capitalismo terminale, speculativo e finanziario a brevissimo. Ha esaltato economie come quella brasiliana, ci ha buttato enormi capital speculativi; ora si vede che quella economia mancava di “robustezza” – la robustezza delle infrastrutture, che danno qualità al lavoro. La stessa cosa, vale in fondo per la Cina, dipendente dalla produzione di merci a basso costo. Vero che il regime cinese sta – contrariamene ai dettami liberisti – tentando di aumentare il livello delle infrastrutture, produce milioni di ingegneri l’anno, fabbrica ormai computer e treni ad alta velocità, è la sola economia che sviluppa il Maglev (I treni a levitazione magnetica) – segno che la sua classe dirigente ha ancora un’idea di “qualità”. Ahimé, non è facile. I milioni di ingegneri sfornati non sanno l’inglese e non hanno la qualità richiesta dal titolo.
Ci sono persino imprese che avevano delocalizzato le produzioni in Cina, e stanno riaprendola produzione, poniamo, in Usa: dove ancora c’è una manodopera di qualità con una etica del lavoro e una competenza avanzata. Ma sono capacità residuali, in via di sparizione. Dovunque il capitalismo terminale impone i suoi dettami, dovunque il lavoro è sottopagato e tende a riprodurre i difetti dello sfruttamento schiavistico. Bassa qualità, improduttività, simulazione, mancanza di fedeltà. Disaffezione totale al sistema e alla sua durata.
Ma Wall Street ci vuole tutti “famelici” a disposizione, il suo ideale è fare del mondo una favela – grande “serbatoio di manodopera”, non c’è che dire. L’Occidente in arretramento, sempre più disfunzionale, inefficiente,a crescita zero.
In Russia c’è un alto sistema di istruzione, e la qualità sui vede nell’armamento, ma anche nel software: noi europei siamo servi di Google, loro hanno il loro Yantex e il loro Vkontakte che sono meglio di facebook, e non pagano royalties, e non hanno ficcanaso nelle loro mail. Loro hanno il Glonass, noi dipendiamo dal GPS Naturalmente nelle valutazioni di Wall Street è bassa, perché “i costi” sono alti, il PPP non gioca a suo favore. Intanto, la odia, perché è l’antagonista del sistema globale – ne ha i mezzi. Per non essere schiava. Può resistere. Noi no.
Avvertenza importante:
Siccome la qualità intellettuale dell’italiano medio è tanto abbassata, occorre concludere con questa avvertenza: la critica al capitalismo globale di cui sopra non va intesa in nessun modo come difesa dello “statalismo”. Specie di quello italiota: si guardi questo corpo di parassiti ladri, incompetenti e strapagati, di usare i miei argomenti a loro vantaggio.
Sono loro la causa del nostro degrado come popolo. Hanno colpa persino del distorto “Liberismo all’italiana”, ossia dello sfruttamento del lavoro precario nel privato con le sue distorsioni e furberie. Il “nero” in tutti i sensi, dovuto alla necessità di sfuggire al controllo ossessivo e fisale di questi nemici della società produttiva.
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