Voglio fare il cuoco!
Quante volte avete sentito questa frase?
Ma cosa vuol dire essere un cuoco o lavorare nella ristorazione?Proverò a spiegarvelo.
Se riuscite a prendere un cuoco in un momento tranquillo di riflessione, mentre vi fate una birra insieme, e gli chiedete quali siano gli aspetti peggiori del suo lavoro, probabilmente vi sentire. te rispondere. "Il calore, la pressione, il ritmo serrato, l'isolamento dalla società normale, i turni lunghissimi, la sofferenza fisica, le continue, incessanti esigenze della professione " Se aspettate un po', forse un altro paio di bicchieri, e gli rifate la domanda questa volta chiedendo quali sono gli aspetti migliori dell'essere cuoco — quasi sempre, dopo una pausa e un altro sorso di birra, vi sorriderà… e vi risponderà esattamente allo stesso modo.
E questa è una cosa che fareste bene a tenere presente fin dall'inizio della vostra carriera.
Domani comincerà il nuovo anno scolastico e incontrerò i miei allievi questo post è per tutti gli studenti degli IPSSAR…ma anche per noi prof…concedetemelo
La cucina è, ed è sempre stata, il culto della sofferenza. A molti di noi, che hanno una certa esperienza nel campo, in effetti piace così. A meno che all'improvviso non siamo usciti di senno, e abbiamo cominciato a pensare, per esempio, che non siamo più cuochi, ma portavoce di catene di supermercati, o forze della natura responsabili del miglioramento delle abitudini alimentari di una nazione, sappiamo chi siamo: gli stessi che siamo sempre stati. Quelli che lavorano nelle retrovie. Noi siamo nell'industria dei servizi, nel senso che, quando i ricchi vengono nei nostri ristoranti, noi cuciniamo per loro. Quando i nostri clienti se la spassano, noi sgobbiamo. Quando i nostri clienti dormono, noi ce la spassiamo. Noi sappiamo (o dovremmo sapere) che non siamo come i nostri clienti, e non vogliamo esserlo, anche se ogni tanto ci prendiamo le nostre soddisfazioni. La gente che affolla i nostri ristoranti è diversa da noi. Noi siamo l'altra parte, e ci piace che sia così.Questo ambiente tende a favorire una sottocultura tribale,un senso del clan, una visione dove :"…ci siamo noi… e ci sono quelli come noi" e al diavolo gli altri.
Si parla tanto della volubilità emotiva, talvolta perfino della crudeltà di alcuni tra i più noti guerrieri della cucina. E a uno spettatore occasionale, la pioggia d'improperi che può riversarsi su uno chef non all'altezza del suo compito può sembrare davvero terrificante e offensiva. Ed esiste sicuramente una linea di confine che non va superata. Angariare un cuoco più debole o un impiegato per il solo piacere d'esercitare il proprio potere è vergognoso. Se capita, nel corso di una serata particolarmente convulsa, di sbranare verbalmente un collega per qualche mancanza, vera o immaginaria che sia, mi auguro, e sinceramente mi aspetto, che alla fine della serata ne ridano insieme davanti a un boccale di birra.
Chiunque abbia una discreta sintonia tra cuore, anima e un legame emotivo con il cibo può imparare a fare il cuoco
Ma per amare veramente il mestiere bisogna essere di un'altra pasta .Quando vi ponete come obiettivo la perfezione, ma per voi stessi, non per soddisfare sogni di fama televisiva o di contratti pubblicitari, non per i vostri cuochi, ma per voi e basta… siete sulla buona strada per diventare il tipo di cuoco professionista adrenalina-dipendente riconoscibile in qualsiasi paese o cultura.Quando sarete finalmente arrivati, quando prenderete posto dietro una cucina professionale e comincerete a sfornare piatti seri, e saprete cosa diavolo state facendo, allora starete per entrare in una sub cultura internazionale, in " questa cosa tutta nostra". Riconoscerete e sarete riconosciuti dagli altri della vostra specie.
Vi sentirete orgogliosi e felici di appartenere a qualcosa di antico, onorevole difficile da realizzare. Sarete diversi, una cosa a sé stante… e apprezzerete la vostra diversità.