Ho secà Mauro Corona
Mauro Corona l'è un fiantin imusonà.
Traduzione per non veneti: Mauro Corona ha le palle girate.
Il motivo? Il motivo (vero) non lo conosco. Non escludo l'andropausa, ma immagino che il più famoso abitante di Erto abbia già superato la fase dei primi turbamenti testosteronici.
Comunquesia, vi racconto questa.
Ieri pomeriggio chiamo, per una breve intervista, Mauro Corona.
Ho il suo numero di cellulare da un fracasso di anni (poi ho fatto mente locale: dal 2009).
Ho il suo numero di cellulare (me l'hanno ricordato i miei collaboratori dopo l'episodio che sto per descrivervi) perché me l'ha dato lui.
Antefatto. Nel 2009, nella redazione del Quindicinale e di OggiTreviso, decidiamo di intervistare Mauro Corona. E' un personaggio che piace, e quindi: perché non lui? L'intervista stabilisco di farla io. Lo chiamo a casa, a Erto. Lui mi dà un appuntamento e io parto. Piglio l'A27, raggiungo Erto e trovo la sua casa/laboratorio. Chiusa.
Penso "che palle!", o qualcosa di simile.
Ma non mi perdo d'animo. Entro nell'unica osteria/bar del paese e aspetto.
Intanto faccio conversazione con la barista e poi col sindaco, che arriva per un'ombra. A un certo punto, finalmente, arriva pure Mauro Corona.
E' incazzato nerogrigio. Mi dice che ha provato a chiamarmi al cellulare (gli avevo lasciato il numero guaia un mal), mi chiede perché non guardo i messaggi (mica sono messangerdipendente!, gli rispondo). Mi dice che dell'intervista non se ne fa niente.
Io mi limito a guardarlo. Intuisco che i miei occhi ipermetropi gli danno fiducia. Ci ripensa. Mi offre un caffè. Lo prende anche lui e mi fa un ritratto con l'indice intingendolo nella tazzina del caffè. Si mette a parlare. E io prendo appunti. Mi dice che la penna che uso è grottesca (non ha tutti i torti: è una di quelle pennone enormi che si comprano sulle bancarelle dei mercatini etnici).
Poi mi apre le porte di casa sua. Mi fa sedere. Mi fa vedere i taccuini pre-libri in cui si scrive con un pennarello punta fine nero. Mi regala uno dei suoi pennarelli. Parla. Racconta. Io prendo appunti. Mi regala uno, due, tre dei suoi libri. Mi fa una, due, tre dediche.
A un certo punto, a casa arriva suo figlio. Quello che gli disegna le copertine. Pure lui mi lascerà il suo cellulare (guaia un mal).
Poco dopo, scrivo e pubblico l'intervista a Mario Corona. La potete trovare sul Quindicinale di dicembre 2009.
Ieri. Ieri, dunque, richiamo il Corona. E questa è la conversazione.
– Mauro Corona? Sono Emanuela Da Ros, l'ho intervistata qualche anno fa.
– Io non ti conosco. Io non so chi sei.
– Non importa. Non se ne ricorderà, ma l'ho intervistata qualche a…
– Io non ti conosco. Chi ti ha dato questo numero?
– Non so. Non me lo ricordo. Sono passati diversi anni.
– Dimmi chi ti ha dato questo numero o chiudo la conversazione.
– Caro Mauro, le ripeto che non me lo ricordo. Ma ce l'avevo in memoria nel cellulare.
– Io non avevo il cellulare. Quindi stai raccontando frottole.
– Ma le assicuro che io l'ho chiamata al cellulare parecchi anni fa!
– Chi ti ha dato questo numero? voglio saperlo.
– Non lo so! Mi spiace: non lo ricordo proprio.
– Allora chiudo, perché la bugia si è messa tra di noi.
– Ma non sto mentendo!
– Metti subito giù. Oppure mi dici chi ti ha dato questo numero.
– Vorrei farlo, ma non posso.
– E allora non seccarmi più. Basta chiuso. Guai a te se mi chiami ancora.
Non l'ho richiamato. Dopo il click-coronarico, il telefono s'è ammutolito.
Arrivando in redazione, ho raccontato il dialogo. Ed è stato allora, ripercorrendo episodi risalenti a sette anni fa, che i colleghi mi hanno ricordato che era stato lo stesso Corona a darmi il suo cellulare. Per chiamarlo "quando avessi voluto".
Chiusa. La chiusa è questa. Non cancellerò il numero di Corona dalla memoria del mio iPhone, perché tanto occupa poco spazio in memoria. Non chiamerò più Corona, perché l'è imusonà. E anche un tantino scorbutico, tanto per eufemizzare.
Quello che non capisco (ma c'è da capire qualcosa?) è perché Mauro Corona si sia montato la testa/cresta brizzolata solo perché dopo aver scritto un libro memorabile (l'unico memorabile della sua mediocre produzione) come "Il volo della martora" (pubblicato inizialmente da Vivalda, Torino, probabilmente a sue spese), ha visto che buona parte del mondo mediatico lo cercava.
Quello che non capisco è perché un novantenne premio Nobel come Dario Fo risponda garbatamente al telefono di una giornalista para-sconosciuta, mentre Mauro Corona preferisca interloquire con una ex concorrente del Grande Fratello, come certa Daniela Martani (magari lei è più figa di me: non ho visto le foto).
Quello che non capisco è perché Mauro Corona vada blaterando a destra e a manca (quest'estate è stato alla trasmissione "In onda estate" su La7, al Palapineta di Lignano (con degustazione di vini), a Barolo (città di cui "è veterano") le sue grandi verità. La sua crociata contro vegani e vegetariani riempie pagine di piccoli format locali; il suo invito a stare dalla parte degli anziani è una sollecitudine a essere sensibili, dolci, onesti cortesi con l'umanità.
Quello che non capisco è perché Corona – che secondo me (e le sue dediche me lo confermano) – ha un cuore morbido come un tortino al cioccolato fondente, si sia secà.
Sono (quasi) sicura che se lo avessi chiamato come organizzatrice della Sagra della satizza (salsiccia) col finocchietto per una presentazione, mi avrebbe risposto con armonia.
Ma non organizzo sagre. Non ancora.
Magari quando organizzerò la Sagra del pastin con l'anguria, rifarò il numero di Corona. E lo inviterò a blaterare. Perché secondo me, uno così si secca un fiantin ma poi gli passa.
E poi il pastin è irrinunciabile.