Ti va un po’ di brexit?
Il linguaggio del caos o il caos del linguaggio?
Il dilemma non interesserà nessuno. Eppure coinvolge tutti.
Se ci avete fatto caso, non possiamo comunicare – a voce o per iscritto – senza usare parole straniere, o acronimi mistolinguistici.
La parola che in questi giorni scuote borse (bags), politica, mercati, equlibri socioeconomici è "Brexit", una contrazione di "British exit", che fa riferimento alla possibilità niente affatto remota che la Gran Bretagna esca dall'Unione europea.
Brexit è una voce anglosassone, ma quel suffisso latino che riconosciamo a orecchio ce la rende familiare. Pare anzi una sorta di onomatopea: brexit potrebbe essere il verso che fa il topo quando rosicchia il formaggio, o il ruggito del coniglio (James ruggisce brexando, quando vuole aggredire), o il rumore prodotto dai vostri denti quando addentate una mela.
Brexit potrebbe anche essere un'esclamazione di insofferenza: Brexit! Ho rovesciato il latte.
Oggi parliamo e leggiamo riempiendoci la bocca di lemmi esotici (workshop, per seminario; abstract, per riassunto; fashion, per "che figo va di moda"; light, per leggero con poche calorie).
Moltissime delle espressioni che usiamo – e che avrebbero il loro bel corrispettivo da Crusca in italiano – sono parole immigrate. Immigrate, ripeto. Solo a che a loro non chiudiamo i confini. Perché possono contaminarci senza chiedere in cambio che un po' di strullagine.
I ragazzi, a scuola, fanno lo stage (non il tirocinio). Gli affari sono business. L'allenatore è il coach o il mister. La pausa lavoro è il break. Il licenziamento è il licenziamento. La marca è il brand.
Nessuno s'inquieta se sente parlare di Jobs act, invece di Piano per razionalizzare il lavoro. D'altra parte il capo è il leader. Ed è a lui che spetta il concept, cioè l'idea.
Quello che mi fa starnazzare (sfido chiunque a trovare un corrispettivo inglese alla parola) in questo post è che le espressioni straniere occupano un posto privilegiato in ogni settore: scuola, sanità, politica, tecnologia, arte. Gli artisti quotati non dipingono tele, ma realizzano performance.
Le cazzate (corrispettivo?) che state leggendo non stanno su uno schermo, ma su un display. E se pensate che in questo post ci sia un gap e io abbia fatto un flop è solo perché il trend dell'web sta avendo un blackout.
Chiaro?
Tornando a "brexit", l'espressione contratta (sembra una parola che tira dentro la pancia!) potrebbe avere comunque interessanti evoluzioni. In the next time potremmo avere un Renziexit, un Salvexit (non è un tampax, cioè un assorbente interno, ma solo un auspicio), una Constitutioexit, un Senatusexit, un No o un Yes sulla scheda referendaria.
A Vittorio Veneto, per essere molto local e poco social, abbiamo già una PiazzaMeschioexit (una square uscita dalla comunità vittoriese), una polisteca-bookteca che sta nel backstage della giunta, un traforo del cazzus (cfr. Machiavelli, Lettere a Guicciardini) that has broken the balls, e una nomination a Città della cultura del 2058.
Siamo in una botte di ferro. Anzi in a iron barrel.
Vutu meter?