(Rim)piangiamo la satira
Senza parole.
Questo post dovrebbe essere senza parole.
Perché nasce sull'onda di un'emozione tristemente disarmante (e anche l'aggettivo "disarmante" mi pare così fuori luogo che vorrei sostituirlo, ma non mi viene in mente nulla che possa surrogarlo).
Questo post è una reazione impotente. Il tentativo di superare il blocco umiliante di pensieri che mi ha percorso dopo aver saputo dell'attentato terroristico al settimanale satirico Charlie Hebdo.
Non vorrei scrivere nulla, perché le parole, oltre il disorientamento, mi paiono più che mai vacue. Eppure scrivo. Nonostante.
Italo Calvino diceva. "Mi sento vicino a capire che dall’altro lato delle parole c’è qualcosa che cerca d’uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione”.
Non so bene quale stato d'animo, quali riflessioni cerchino di uscire dal silenzio/prigione che si è formato dentro di me dopo essere stata una testimone mediatica di questo ennesimo, gravissimo oltraggio alla libertà di coscienza e di espressione, alla libertà del vivere da uomini civili.
Penso che siamo di fronte a un bivio. O accettiamo la sfida terroristica e combattiamo alla stregua dei terroristi, o ci apriamo universalmente agli altri. Ancora di più, arrivando persino a perdonare coloro che non sanno quello che fanno.
L'attacco al giornale francese dovrebbe essere d'ora in avanti, già da subito, un pre-testo per coalizzare ogni civiltà (occidentale, araba, cristiana, musulmana, atea, pagana, agnostica…) contro un manipolo di animali spietati, che vivono nella melma oscurata di un balordo istinto autodistruttivo.
L'unico modo per uscire dal tunnel è la luce. Della ragione, del buonsenso, del bene. Comune.
Questo non vuol dire che stigmatizzi quanto si sta facendo in questo momento in Francia per la sicurezza. Vuol dire semplicemente che non irrorerei con parole acide il sangue, la vita.
Perciò, in attesa dell'uragano di dichiarazioni che i potenti della Terra convoglieranno all'indirizzo di una bella redazione, che risusciva a sorridere all'amarezza degli eventi, prendo le distanze.
Da chi dice "Avete visto dove siamo arrivati? Ve l'avevo detto, io. Dobbiamo reagire".
Prendo le distanze dalla reazione fatta di violenza, sospetti, vendetta, pregiudizi.
Prendo le distanze anche da quanto il mio presidente (Leonardo Muraro) ha appena scritto. Il presidente della provincia di Treviso ha appena licenziato un comunicato stampa in cui sottolinea che "i terroristi sono tra noi", che "bisogna fermare l'invasione dei migranti" prima che si verifichi anche qui un caso Charlie Hedbo. Muraro insiste su un tema che gli è caro: Bisogna controllare le frontiere.
Io vado sommessamente in un'altra direzione. Non sono le frontiere da controllare, ma le barriere tra gli uomini, che vanno abbattute con l'arma più potente: l'amore. Sono le barriere tra questi concetti vetusti di civiltà opposte a dover essere spianate. Il nostro mondo si ammala ogni giorno di più per la meschinità di chi pretende troppo dalla sua "casa", per le differenze idiote che platealmente contrappongono gli uomini (i ricchi, i poveri, i bianchi, i gialli, i verdi, i blu).
Se qualcuno, lontano molto lontano da noi, ci osservasse non so se ci vedrebbe più tristi o più ridicoli. Di sicuro avrebbe materia per cucirci addosso una maschera di satira. Amara.