Io faccio quello che voglio! O no?
Dunque.
Tanto per non farmi (troppa) pubblicità, per prima cosa devo far sapere al mio milione di affezionati-amici-di-blog che ho appena pubblicato un nuovo libro per giovanissimi lettori, di cui vado fiera. Il libro (compratelo: non ve ne pentirete) si intitola Io faccio quello che voglio!, è edito da Gribaudo e distribuito da Feltrinelli per cui lo trovate in tutte le librerie d'Italia, comprese le isole.
Il libro, ispirato all'esilarante tormentone del comico Rocco Barbaro (l'unico artista che a Zelig strappa un sorriso vero), ha carattere. Un carattere umoristico: sollecita simpatia. E, in modo divertente, invita (i bambini, ma anche gli adulti-che-sono-stati-bambini) a riflettere su quanto sia incerto, limitato, approssimativo, variabile il confine tra volontà e potere, tra il bisogno di seguire i propri desideri e inclinazioni e la necessità di adeguarsi ai desideri (più o meno giustificati) degli altri.
Il tema di fondo, in fondo, è sempre lo stesso: se la nostra libertà finisce dove inizia la libertà degli altri siamo davvero liberi?
Poiché l'interrogativo è arduo da scalare come il Pizzoc (soprattutto in questa stagione), lasciamolo vagolare in aria come un aliante e ammariamo nella pozza stagnante della libertà di informazione, che è un concetto/ambito più circoscritto.
Oggi, in Italia, siamo liberi di scrivere ciò che vogliamo?
La risposta è paredino (tscritto utto attaccato come i bottoni che cuciva la Poppa). Oggi, in Italia, la libertà di informazione e di espressione sancita dalla Costituzione sembra essere uno degli argomenti a cui il Parlamento tiene di più. La scuola va rotoloni Regina, la ricerca è ferma ai posti di blocco, la sanità è un canestro di spese dissolute su cui bisogna risparmiare, i giovani non hanno speranza di trovare un lavoro e i vecchi (chiamiamoli col loro nome) devono lavorare finché non ce la fanno più. Eppure il parlamento pensa che giornalisti e blogger, in Italia, abbiano troppa libertà. Che questa libertà vada limitata perché se no è pericolosa. Il parlamento vuole approvare un decreto legge che – sì, d'accordo – non prevede il carcere per i giornalisti, ma pene pecuniarie che arrivanoper loro fino a 50 mila euro. Bazzeccole. I giornalisti, si sa guadagnano tantissimo.Preciso (no se sa mai) che c'è ironia in quello che scrivo. E amarezza.
Se dovesse passare il ddl sulla diffamazione in discussione in questi giorni, i giornalisti (e i blogger) dovrebbero stare attentisismi a quelloc he scrivono perché se quello che non scrivono non sta bene a qualcuno dovrebbero pagare di tasca propria somme salatissime. Che significa? che chi scrive e ha un buon conto in banca o qualche bel finanziatore alle spalle può permettersi di essere libero di esprimersi e chi invece scrive per passione, per convinzione, per deontologia. O perché vuole dire le cose come stanno inseguendo una verità che magari è più scomoda delle panchine (rimosse) della stazione di Mestre, allora è meglio che stia zitto e buono e che non scriva niente che possa turbare.
Il ddl sulla diffamazione che prevede pene pecuniarie stratosferiche a carico dei giornalisti (e non dell'editore o della proprietà del media) avrà come conseguenza la notizia-brodetto. Giornalisti e blogger, imbavagliati, potranno scrivere solo di faccenduole edulcolorate: potranno scrivere di costume (ma neanche tanto), di cucina e di musica. Occuparsi di personaggi politici, di polica, di amministrazione diventerebbe pericoloso. Per chi scrive.
Guido Scorza, docente di informazione alla facoltà di Giurisprudenza dell'università di Bologna afferma che l'Italia, quanto alla libertà di informazione, oggi è vicina all'Uganda, allo Sri Lanka, al Venezuela. Dice che il nostro belpaese, in fatto di libertà d'espressione scritta, l'è indrio come la coda del porzel. Il ddl lo vuole spingere ancora più indietro.
L'altro interrogativo che tormenta, a questo punto, è: che c'è di più arretrato della coda del porzel?
Visualizzate la bestia e tentate una risposta.
Per il momento comunque Io faccio quello che voglio! (editore Gribaudo). E magari, in futuro, mi occuperò di taglio e cucito: una materia non censurabile e di grande interesse pubblico.