Che paura le porte del liceo Flaminio!
Quando entro alla Bottega del Caffè in via Vittorio Emanuele (a Vittorio Veneto), non devo nemmeno chiedere. Marzia o Monica mi preparano un deca-lungo-in-tazza-grande.
Un decalungointazzagrande di solito è quello che mi ci vuole. Non tanto per svegliarmi (io sono l’Addormentata per antonomasia) quanto per capire che c’è un aroma oltre il sapore uniforme della quotidianità.
A proposito di quotidianità…mentre scorrevo le notizie on-line, oggi ho appurato che c’è un accordo tra Usa e Russia per il disarmo (ghe voeo tant?), che Napolitano lancia un monito per i diritti umani, che gli atenei annunciano proteste (mejio tardi che mai), che all’Aquila continua lo sciame sismico (oh mamma: come punge) e che i vescovi dicono sì (era ora) alla sanatoria.
Ho scorso le notizie pensando che orbene…ero sufficientemente aggiornata per andare tranquilla alla Cena della Pesca (stasera a Lovadina di Spresiano, dallo chef Camerotto) dove tenterò di pescare con tanto di esca un paio di trote rintronate almeno quanto me.
Perché (la verità è indubbia) un po’ rintro(nata) lo sono. E non per attualità. Per formazione scolastica.
Mi spiego: mio figlio, due giorni fa, varcando le porte del liceo Flaminio di via Dante (si è appena iscritto allo Scientifico) mi ha detto: "Quella porta mi mette paura". Poi, di fronte al mio sguardo umido, si è corretto: "Quella porta, la porta del liceo, mi incute timore".
Praticamente ha tradotto, in un lessico…liceale…lo stato d’animo che avvertiva. Ha dato alle parole un’altra dignità. Certo: la strizza gli è rimasta, ma è stata vestita di…classicità.
Ho sorriso a mio figlio e gli ho detto – salendo in auto – : Anche a me, ti giuro. Anche a me le porte del liceo hanno sempre messo paura.
A che ho pensato? a due generazioni che si incontrano. In un’arena (la paura) che dovrebbe contrapporle. E invece no.