Aperte a relazioni sessuali accese
Un paio di mattine fa, in un’ottima pasticceria vittoriese (qui la metonimia ci sta bene), nella brioche che azzannavo, al posto della farcìa di confettura di albicocca, ci ho trovato la filosofia del macho.
Era appiccicosa e sbrodolosa e calorica pure quella, ma meno dolce della solita farcìa. Il macho che filosofeggiava era un uomo sui 40 (forse meno), piuttosto alto, piuttosto belloccio, con un ciuffotto smaccherrato ad arte sulla testa, le scarpe coloniali troppo sfilate, un brutto giaccone nero.
Se non si è capito l’ho squadrato dalla testa ai piedi. E, giuro, non è affatto una cosa che faccio sempre. Di solito mi bastano i piedi. O la testa. O il culo (rientro nelle statistiche delle preferenze femminili riguardo ai corpi maschili-vestiti).
Il fatto è che, mentre io azzannavo e scorrevo i titoli dei giornali (più che altro leggevo gli oroscopi), il macho monologava ad alta voce riempiendo con le sue considerazioni non solo la mia brioche e i bignè col naso all’insù, ma tutto-proprio-tutto lo spazio della (piccola) pasticceria. Ad ascoltarlo, a parte se stesso, a parte me e mia mamma (costante sguardo di disapprovazione verso il soggetto in questione alternato a qualche smorfia eloquente lanciata non troppo nascostamente nella mia e sua direzione) c’erano la pasticcera e un’altra cliente. Tutte donne, insomma.
E il macho, unico maschio, di donne parlava. Diceva sostanzialmente che lui le donne le conosce benissimo, che le potrebbe distinguere in categorie, che la categoria delle più porche (leggi: aperte a relazioni sessuali accese) è quella delle oh! estetiste e delle oh! parrucchiere e insomma di quelle che lavorano (sul)la pelle e (su)i peli. Diceva che comunque, grado di porcaggine a latere, le donne sono più o meno tutte eguali e più o meno tutte interscambiabili. Talvolta pure con i trans. Diceva che lui non potrebbe stare dieci mesi con la stessa donna, che lui una donna la deve cambiare come si fa con i calzini. Diceva che lui ha skei, vita, libertà e sì, va bene, qualche altra faccenda in sospensorio e che insomma la fedeltà, il legame, la monofighia sono inconcepibili per lui. E diceva pure (però mia mamma, a qusto punto, mi ha distratto con una gomitata), che lui è convinto che ciascuna/o di noi prima o poi tradisca. E si faccia tradire, che poi è lo stesso. Diceva.
La flosofia del macho – l’ho detto – era spiccicosa e calorica. Ma aveva, poteva avere, un suo valore nutritivo. In fondo, a giudicare dalle scarpe e dal ciuffotto, il tipo in questione, cioè in pasticceria, aveva una percezione gustativa dettata dalla moda, in fatto di donne. E quindi era trendy, filosoficamente trendy.
Eppure non ho potuto fare a meno di chiedermi (avrei voluto porre la domanda a lui ma era impossibile farsi largo nel monologo) se la sua filosofia avesse retto a una bella cotta, cioè – per dirla con lui – a una bella botta d’amore. Di quelle che ti squassano il cuore, ti fanno dimenticare di allacciare le scarpe, di spettinarti il ciuffo e, persino, di te stesso.
Mah! il mio dubbio resterà dubbio. Finchè non andrò dall’estetista. E, mentre mi strapperà violentemente i peletti (noi donne abbiamo un masochismo radicato quanto i bulbi pilliferi), e mi ammorbidirà la pelle maciullata con il borotalco (sì, quello della nonna), le domanderò – da vittima emarginata – come ci si sente ad essere "le più aperte a relazioni sessuali accese".