Libri e inquietudini
Allora, vista l’ora (sono le otto meno un quarto e l’imbrunire è già notte e l’oggi è quasi ieri e la costellazione di Cassiopea già si specchia in questo cielo straordinariamente limpido), non ci resta che fare due chiacchiere.
Due chiacchiere virtuali, tra me e i miei tre lettori (Vanda mi assicura di essersi aggiunta alla combriccola). Il tema? l’inquietudine. Sì, lo so che ci vado a nozze. Che dai miei post-tutti-parentesi-e-incisi-e-viadicendo si capisce che non sono proprio una personcina lineare, ma l’inquietudine non fa solo parte di me. Appartiene a un mondo a un tempo a una generazione. Volendo generalizzare, appartiene ai mondi ai tempi alle generazioni. Dietro il mio letto – tanto per non dormire sogni troppo tranquilli – risposa (non troppo indisturbato) "Il libro dell’inquietudine" di Fernando Pessoa. E dentro di me (non) dorme "quello spirto guerrier ch’entro mi rugge".
In virtù di questo inquieto sentire, oggi mi è capitato di leggere (Il danno, Josephine Hart, Feltrinelli) questa frase: "Non c’era nulla in lei (lui) che stridesse o mi facesse soffrire. Possedeva in notevole misura la potente seduzione della serenità".
Ho sottolineato la frase (con il lapis rosso) e avrei voluto chiosarla con un punto di domanda. La serenità è davvero seduttiva? è una spiaggia a cui aspiriamo o che, in fondo, lambiamo soltanto perché sono i marosi e le tormente e gli sbatocchiamenti dell’anima e/o della realtà contingente a farci sentire la scossa della vita?
Rivolgo la domanda ai mie tre lettori. E a Papi. Ne ha 10 a cui rispondere (pare) nel salotto tutto finto di Vespa. Una nuova (domanda) vera-o-finta che sia a Papi mica gli cambierà la vita, no?