Sotto il ciuffo, pallottole e Gentilini
“Frangia o ciuffo?” La ragazza che mi “fa la piega” (non è un’espressione metaforica) l’ultima volta che mi ha avuto sotto i ferri (phon sulla sinistra, spazzola sulla destra) mi ha chiesto se preferivo la prima o il secondo.
Io, sinceramente, stavo pensando a tutt’altro (alle pallottole arrivate a Zaia e al volantino minatorio inviato a Bastanzetti, a Gentilini condannato per istigazione al razzismo, alle escort e ai trans che sculettano nei salotti della politica, ai sonetti d’amore di Shakespeare e all’ultimo disco di Knopfer). Stavo pure pensando – più o meno in quest’ordine – che il reggitette a balconcino fa la sua linfa figura addosso al manichino di Intimissimi, che il Meridiano di Montale venduto al mercatino a 9.90 dovrebbe attirare folle di acquirenti e invece non se lo fila un passero, che è nato Andrea!, che devo chiamare l’idraulco per farmi aggiustare la terrazza che è un cantiere da almeno otto mesi e che Umbi non sa coniugare i verbi in italiano figuriamoci in latino.
“Frangia!”, ho risposto. E mentre phon e spazzola si agitavano fuori di testa (la testa era la mia) ho realizzato che avrei dovuto dire “ciuffo”. Questo perché quando poi la ragazza mi ha fatto notare che “la piega era fatta” e che avrei dovuto dirle se mi piaceva o meno io ho pensato che no, non mi piaceva per nulla. Ma pensavo pure che forse la colpa era mia, che ero stata io a dirle di farmi la frangia al posto del ciuffo e che, in fondo, per tot euro, pari a due ore del mio lavoro, avrei anche potuto dire un’innocua bugia, far felice la ragazza col phon e la spazzola e aggiustare il mio errore di interpretazione davanti allo specchio domestico. “Sì, mi piace!” (non “ mi piaccio”; notare la differenza, please).
Se non avete idea di quali compromessi o intelaiature mentali alberghino tra una piega e la psiche, mettevi sotto il casco. Di un parrucchiere, non di una motocicletta. Lì il mondo vi aprirà le sue connotazioni. Perché essere belle, dalla radice alla (è il mio caso) doppia punta dei capelli richiede un’introspezione a base di Freud e di ammoniaca. L’uno serve per aprire l’inconscio, la seconda per facilitare il trattamento lisciante.
Io sotto il casco entro in analisi. Nessuno lo sa (a parte voi, in questo momento). Non lo sa la ragazza con la spazzola, l’inserviente che mi chiede se ho già bevuto il caffé, l’attricetta sconosciuta che mi sorride dalla pagine di Chi (Chi si trova da ogni parrucchiere) e il palestrato che mi snobba nel tondo della stessa rivista. Io, sotto il casco, penso alle mie debolezze, a quanto devo dedicare alla cura dei miei capelli, della mia pelle, della mia affezionatissima cellulite perché lo specchio che mi trovo di fronte uscendo dalla doccia alla semplice/essenziale domanda “Specchio specchio delle mie brame qual è la meno racchia del reame” mi risponda: “Non farti troppe illusioni, piccola mia. Tamponanti con un po’ di fondotinta e sgomma via”.