Che Veronica (leggi: c’è Veronica)
“Non c’è più religione!”. Secoli e secoli, anzi: un paio di millenni a ‘sto punto, di pensiero (fondamentalmente) cristiano ci hanno lasciato in eredità un’espressione che è una summa, anzi: uno sbuffo di desolazione etico-eretico-spirituale-dissociativa (non ho la più pallida idea di che cosa sto scrivendo, ma seguitemi lo stesso): “Non c’è più religione!”.
Un’espressione a cui ricorriamo (io raramente, altri con maggiore frequenza) per esprimere la consapevolezza di un’assenza di valori a cui per secoli e secoli, anzi per un paio di millenni, abbiamo creduto e sui quali abbiamo impostato la nostra vita.
Bene. Ora accanto a quest’espressione se ne profila un’altra (non meno sbuffante): “Non ci sono più miti!” O meglio: ce ne sono troppi. Per Jung il mito è un archetipo, un’immagine, un modello, un marchio, una figura che concentra in sé pensiero, sentimento, sensazione e intuizione. E (aggiugerei) passione, coraggio, coerenza, certezza, sfida e tutte le altre qualità positive che vi vengono in mente.
Bene, cioè: male. Perché io sono convinta che il mito proprio non si trovi (la coordinata lascia a desiderare)… a ogni pisciatina di cane. Il mito, l’archetipo autentico sono “eventi” che puntellano raramente la storia dell’uomo. E non è possibile che, ora, improvvisamente, si siano ristretti come le mie maglie di lana dopo il trattamento d’urto in lavatrice. Se la società si rimpicciolisce, se si rimpiccioliscono, sin quasi a divenire impercettibili i suoi valori, non è detto che i miti debbano fare altrettanto. Per esempio non è detto che un ragazzotto che ha partecipato a una trasmissione come il GF (vi giuro sul mio ombelico che io non ne ho visto un fotogramma) venga considerato un mito solo perché è stato davanti a una telecamera, né che possano essere considerate miti politici (lo stipendio da europarlamentari rende tali) delle ragazze fotogeniche, né che sia un mito, che so, il vostro vicino di casa perché ha un’auto che si mette subito in moto. Non siete d’accordo? Per me, un mito è un personaggio a-tutto-tondo. Una persona non perfetta, per carit, che però riesce a essere se stessa in ogni occasione, ad aggettare sulla massa, a ottenere vera gloria che poi è quella che deriva dall’aver costruito qualcosa di postitivo per la collettività. C’è un mito così oggi intorno a noi?
Sì, va be’: c’è Obamino (che è forse un mito anche grazie a Michelle e che è ancora alle prese con la domanda di Alessandro (Manzoni) : “la sua è vera gloria?”); c’è Polansky; c’è Rita Levi Montalcini, la Hack, la Littizzetto; c’è Woody Allen e Verdone e – naturalmente – George; ci sono (ma è un punto di vista personale) i miei genitori e anche la nonna Bruna e Dario De Bastiani (spero non mi legga!); c’è Steve Jobs, Daniel Pennac, Vittorio Zucconi, Guia Soncini, Travaglio, e Maurizio Cattelan, Vasco, Guccini, Mina. Ma poi? Quali altri miti possiamo individuare intorno a noi?
Io vi sfido: provate, dico provate, a individuare un mito vero nella società contemporanea. Un personaggio come Napoleone (che, ma per favore!, è stato associato a Silvio), personalità come San Francesco, Giovanna d’Arco, Socrate, Platone, Michelangelo Merisi, Leonardo, Lassie, Robert Mitchum, John Wayne, Alfred Hitchock, Vincenzo Tiberio e Alexander Flaming, Gutenberg e Manuzio o Primo Levi.
Per Jung, il mito è l’immagine primaria (urtümliches Bild) dell’inconscio collettivo. La persona(lità) che diventa il nostro faro-nella-notte. Il punto di orientamento. No: ve lo ricordo solo perché ho appena trovato in internet l’icona di Veronica Che Lario. Che vi propongo qui. A dimostrazione (provate a confutarmi, se ci riuscite. Anzi: vi prego: fatelo!) che anche la categoria “mito” è finita nella raccolta indifferenziata dell’oblio.