Da leccarsi. Le dita
Ho un’incommensurabile (l’attributo non sta bene col soggetto ma amen) voglia di dolci. Ho appena mangiato (ohmammasanta anche non) un tot di biscotti con la nutella.
La nutella era sciolta (fa ancora caldino) e mi ha impastrocchiato le dita (che ho leccato); i biscotti erano mosci (mio figlio lascia sempre aperto il sacchetto; il tot era troppo calorico uffa.
La voglia di dolci mi segue, o precede: non ho verificato le dinamiche direzionali, da tre-o-quattro giorni. Da tre o quattro giorni mi sbafo gelati, cassate, pasticcini, brioches e persino oscene crostatine industriali. Se avessi nei paraggi una fabbrica di cioccolato sarei un nastro trasportatore/inghiottitore.
Ieri, con Marisa Zanzotto, ho fatto un giro coast to coast si fa per dire. Da Vittorio Veneto sono andata a Cortina, passando per Longarone, Zoldo, Cibiana. Durante il tragitto (velocità di crociera: duemila chiacchiere all’ora) io e Marisa abbiamo fatto un po’ di soste: alla prima baita ci siamo prese una crostata calda ai mirtilli, alla seonda una brioche con la capocchia trapuntata di cristalli di zucchero, alla pasticceria Lovat (un caffè: due euro; e era pure pessimo), una tortina di riso e una fetta di Foresta nera. A Ospitale ci siamo fatte fuori una fetta di strudel. A casa, ora di cena più o meno, la voglia di dolce si era raffreddata e così mi sono mangiata una cassata al latte enormissima (l’iperbole ci vuole, fidatevi) e poi una pallina di stracciatella che mi fissava altezzosa. Ho mangiato anche i due baci perugina che erano rimasti nella ciotola dall’inverno scorso perché, mosci e raggrinziti nella loro cartina d’alluminio con bigliettino incorporato, nessuno se li cagava più.
Stamattina sono risalita sulla giostra di zuccheri e carboidrati. Dove continuo a girare, sia chiaro.
Comunque ieri, alla baita dove abbiamo fatto la prima puntatina ipercaloricamente dolce, io e Marisa abbiamo incontrato una ragazza, amica di Marisa, che faceva la "stagione", cioè la cameriera durante l’estate. Poiché era quasi mezzogiorno si è seduta a parlare con noi dicendo che aveva solo 15 minuti di pausa e che quei 15 minuti dovevano coincidere con il suo pasto. Il pasto della ragazza (36 di taglia; una magrezza vera) consisteva in due cucchiaiate di cavolo cappuccio condito con la maionese, due microscopiche fettine di melanzana alla griglia e una fetta di pane.
Pare che la fanciulla soffra la fame. Che per saziarsi vada "a pane", sopratutto quello che resta nella dispensa del ritorantino alpino.
Possibile?
A quanto pare sì. A quanto pare ci sono dei posti (parliamo di ristoranti, eh?) dove al personale di servizio si dà da mangiare poco o nulla. Io pensavo che fosse impossibile oggi. A me, studentessa universitaria che faceva la stagione al mare, anni fa (parecchi) era capitato di dover servire piatti sfiziosi ai clienti della pensione, farmi lievitare un appetito da valanga e poi dover buttare giù prannzoatquecena un etto di pasta scotta al sugo su cu era piovuta la crosta sbriciolata del parmigiano. Ma – da allora – sono passati non so quanti cantanti a sanremo, quanti corona attraverso il buco della serratura dei pettegolizzi, quante moniche lewinsky e quante escort tra le stanze ovali e i letti presidenziali, quanti errori di sintassi nei compiti in classi e quante classi di concorso nelle scuole. Da allora io pensavo che il cbo, a queste latitudini, fosse come l’acqua: privatizzato ma ancora abbondante. Invece no. C’è ancora chi tira e fa tirare la cinghia…A meno che. A meno che non si sia già fatto il giro di boa dell’opulenza e si stia già tornando indietro.
Che palle! io le croste di parmigiano sbriciolate sulla pasta scotta al sugo non le voglio più. Io voglio la Sacher. Con la panna fresca.