Due euro all’ora
A proposito di soldi.
Io non ricordo se qualcuno mi abbia mai chiesto – seriamente, voglio dire – che rapporto ho con i soldi. Spero che nessuno mi abbia fatto questa domanda in passato, perché probabilmente avrei dato una risposta sciocca. Io do spesso risposte sciocche. Se le domande sono sciocche.
No, dico: come si fa ad "avere un rapporto con i soldi"? I soldi non sono interlocutori, non sono umani, non sono animati, non sono un’entità con cui ci si possa rapportare. I soldi sono uno strumento. Tale e quale la pinzetta per estirpare le sopracciglia.
I soldi sono funzionali a. A vivere, magari. Il che – lo ammetto – non è proprio un dettaglio.
Detto questo, è comprensibile che mia figlia Stefania che l’altro giorno è stata a un colloquio di lavoro a Trieste abbia detto no.
L’offerta economica che le era stata fatta era questa: due euro all’ora per animare dei bambini nei centri estivi.
Mia figlia, che alle spalle ha diversi anni di esperienza come animatrice, sa cantare, ballare, pattinare, fare ginnastica, far fare ginnastica ai bimbi, suonare, farli suonare, divertire, farli divertire, nuotare, insegnare a nuotare, avrebbe dovuto tenere un gruppo di una ventina di bambini per quattro o cinque ore guadagnando la virtuosa somma di due euro all’ora. Facendo un rapido calcolo, con cinque ore di lavoro al giorno, avrebbe potuto comperarsi due litri di latte, un chilo di pane comune, due etti di prosciutto cotto take away, lo shampoo (non quello che usa lei, ma uno da discount) e forse un pacchetto di gomme da masticare della Lidl.
Mia figlia ha detto no. E ha fatto bene. Perché, alla fine, contraddicendo quanto ho scritto prima, avere un rapporto con i soldi, in linea teorica, è assurdo e stupido. Ma avere un rapporto, pratico non teorico, con due euro all’ora è autolesionistico.