Esci dal mio profilo!
Stavo lì a crogiuolarmi al riflesso del bagnoschiuma (vale a dire: mi stavo facendo un bagno) quando ho sentito mio figlio Umby gridare a sua sorella Stefy:
– Esci dal mio profilo!
Esci dal mio profilo? Mi ci sono voluti tot secondi (e una rapida emersione) a capire che Facebook c’entrava qualcosa. Che tutti e due (Umbi e la Ste) stavano usando lo stesso computer e facevano staffetta tra le proprie pagine facebook. La realtà, cioè facebook, ha rotto la bolla di sapone dei punti di domanda che galleggiavano beati sulla superficie della vasca.
Eppure, prima di risolvere il minuscolo enigama, avevo pensato che sarebbe stato – come dire? – intrigante che Stefy fosse entrata per un attimo nel profilo di Umby. Che i miei due figli si fossero sovrapposti come in un ritratto a pennino su fogli da lucido. Che la Ste fosse davvero entrata nella testolina-treccina del fratello per curiosare un po’, per mettere ordine o disordine, per giocare, scherzare, diventare il doppio di Umbi, senza perdere la propria identità.
Mi era sembrato, tra la cornetta della doccia e la saponetta ai fiori di Bach, che quell’imperativo "Esci dal mio profilo!" avessse – che so – una valenza esistenziale. Mi era sembrato – ma è stato proprio un’impecettibile sciacquatina di coscienza – che i miei due figli avessero trovato il modo di compenetrarsi, di sbirciarsi da dentro. E che, a un certo punto, uno dei due si fosse rotto di essere spiato e avesse sbuffato il suo anelito a tornare uno, a tornare libero da ficcanasini ingombranti.
Invece, di mezzo, c’era solo facebook. E un profilo virtuale. Tutto sommato poco curioso. Il profilo che ci scarabocchiamo addosso. Un po’ tanto per fare. Un po’ tanto per vivere anche da un’altra parte. Un po’ tanto per permettere ad altri di osservarci. Ma da fuori, sia chiaro: dalla giusta distanza.
Tutto qui. Potevo anche risparmiarmi il post. Ma ormai l’ho scritto. E mio figlio mi ha appena chiesto urlando:
– Esci dal bagno?