Il fagiano dell’Ikea
E' un po' che non percorro le anse del blog.
Detto tra noi: mi mancava il tour chiacchiereccio.
Per cui, rieccomi.
Stamattina ero al telefono con Paola Perin della Fabbrica dei Coriandoli (un'associazione culturale, a Vittorio Veneto, poteva trovarsi un nome più bello?). Dunque, dicevo: ero al cellulare con Paola mentre vagolavo sulla terrazza al quarto piano del condominio in cui vivo.
La premessa ci vuole.
La terrazza dà sui tetti di un numero ragguardevole di case, ma la casa che tra tutte colpisce di più è quella che io chiamo "Quella della famiglia felice". E' una villetta bifamiliare, rimessa a nuovo da un paio d'anni, in cui abitano – credo – due famiglie parentali.
Una delle famiglie ha due figli piccoli, e un'arte del quotitidiano che farebbe impazzire Mister Ikea. La casa, infatti, ha un giardino in cui l'erba viene falciata appena è arruffata. In cui i bidoncini dell'umido e del secco hanno uno spazio apposito, e sempre molto curato. In cui i giocattoli dei bimbi hanno una collocazione in sintonia con le stagioni (d'estate la gabbietta-tipo si riempie di ochette galleggianti e salvagenti), d'inverno resta vuota. Una casa in cui al cancello d'ingresso corrisponde un vialetto di piastrelle bianche. Una casa in cui le tapparelle vengono abbassate all'imbrunire. In cui l'arredo esterno è curato come un salotto interno: c'è la fontanella, ci sono gli sdrai e le sedie di giunco, coi cuscini candidi. Una casa che sembra uscita da un catalogo, per quanto è perfetta.
Bene, è successo che mentre parlavo con Paola, la Casa della Famiglia felice era probabilmente deserta: i bimbi erano al nido, o all'asilo, e papà e mamma al lavoro. Tutto era perfetto nel solito modo. A parte il fagiano.
Che era atterrato nel giardino dall'erba perfetta, mentre ero al telefono.
Ha zampettato qua e là e poi è stato raggiunto dalla consorte: mrs. fagiana. Entrambi i volatili hanno sfogliato il sito, trovandolo – probabilmente – di proprio gradimento.
M'è venuto in mente (e l'ho detto a Paola, che registrava la mia considerazione dall'altra parte dello smartphone) che i due volatili avessero pure pensato di ordinarlo su Amazon.
Qualche secondo, e ci hanno ripensato. Se ne sono volati via.
Mentre descrivevo la scena a Paola, ho pensato ad altre scene di caccia.
Quelle di qualche anno fa. Quelle in cui io, per vedere un fagiano, dovevo alzarmi alle quattro del mattino, vestirmi pesante, arrivare con setter e bracchi tedeschi nel greto del Cellina e camminare per ore. O passeggiare in un silenzio brumoso accanto a interminabili campi di mais prima di scorgere uno dei cani di mio padre "far bon", cioè annusare una preda. Un fagiano, per lo più. Che si alzava nel cielo plumbeo controvoglia. Incontro a un destino-doppietta che non gli avrebbe lasciato nessun varco di libertà.
La caccia, allora, voleva dire andare incontro, e un po' contro, la natura. Farsi entrare il gelo dentro, attendere che l'aurora chiarisse i confini della riserva.
Erano altri anni, però. Erano altri fagiani. E – decisamente – altri cataloghi. Più naturali e meno Ikea. Più strapazzati e meno felici?