Il Sacro Gra (di Rosi) e gli euro (dei Dik Dik)
Gra, ovvero l'acronimo di Grande Raccordo Anulare. Quello di Roma, quello perpetuamente intasato dal traffico. Quello che su Onda Verde c'è sempre. Quello che Fellini diceva che era "l'anello di Saturno che circonda la capitale". Quello che è "la più grande autostrada urbana d'Italia". Quello che è il Raccordo anulare per antonomasia, e che al Put di Treviso ci fa un baffo.
Parliamo/scriviamo del Gra. O meglio di un documentario/film sul Gra.
Giovedì prossimo uscirà in tante (tantissime: il successo è annunciato) sale cinematografiche italiane il "Sacro Gra" di Gianfranco Rosi.
La pellicola che ha appena vinto il Leone d'Oro 2013.
Io, il film , l'ho visto ieri a Cinemazero (Pordenone), e – sì – ve lo consiglio.
Ma il punto/post è un altro.
Ieri sera, parlando del suo film, il regista Gianfranco Rosi (che era presente alla proiezione) ha detto che la canzone che chiude il Sacro Gra (Il Cielo, di Lucio Dalla) è stata una seconda scelta.
"Come chiusa del film – ha detto Rosi – avevo pensato a Sognando California dei Dik Dik. Ma i Dik Dik chiedevano 18 mila euro di diritti d'autore per l'utilizzo della loro canzone, e visto che la richiesta era onerosa ho ripiegato su una canzone di Dalla, del '66, che poi è risultata anche più consona all'opera".
La dichiarazione-inciso è stata oggetto della mia conversazione-colazione di stamattina.
Un amico (baffi di caffè macchiato) mi ha detto che i Dik Dik avevano avuto ragione a chiedere una cifrotta imbarazzante per il loro successo discografico agée perché, insomma è giusto che il gruppo goda dei proventi di una canzone che è divenuta un classico, e che – a distanza di 50 anni – un minimo di riscontro economico gli è dovuto.
Niente da eccepire sull'argomentazione. E' solo che – ho pensato/detto all'amico che nel frattempo si era pulito i baffi – i Dik Dik ora si staranno mordendo le mani.
La canzone che avrebbe potuto finire nel film di Rosi, ora avrebbe avuto una plateizzazione enorme, visto che il Sacro Gra sembra avere tutti i requisiti per fare botteghino (leggi: skei di ritorno).
E (non) puntando su un film apparentemente non vincente di un regista apparentemente di nicchia i cari Dik Dik hanno perso un'ottima occasione.
Perché – a volte – la fortuna scappa di mano più velocemente di quanto non faccia il mio coniglio James quando tento di acciuffarlo.
Voi che ne pensate? E, soprattutto, che ne penseranno i Dik Dik?
Sia quel che sia, Gianfranco Rosi, alla prima nazionale del suo Sacro Gra, ha riferito un altro aneddoto simpatico.
Con il sentore/soffiata che il suo documentario/film a Venezia avrebbe avuto una segnalazione o una nomination, Gianfranco Rosi stava seduto in platea in attesa del verdetto, con la figlia 13enne. Su di loro loro (diamoci dentro col romantico) aleggiava un'emozione-aspettativa vibrante come il canale della Giudecca. Quando la giuria ha iniziato a snocciolare i nomi del secondo, del terzo, del quarto classificato, la figlia di Gianfranco Rosi ha pensato che quell'aspettiva fosse diventata una disillusione, una frustrazione, e che il padre non avrebbe vinto nulla, perché i leoncini che dovevano essere assegnati avevano già trovato un padroncino. Nè Gianfranco Rosi, nè la figlia sospettavano che il leoncione (il Leone d'Oro) sarebbe stato consegnato proprio al Sacro Gra. E – in nome del Dispiacere incontenibile – la figlia di Rosi si è messa a piangere.
Poi c'è stato il colpo di scena. E il suo pianto di delusione è diventato un pianto di gioia.
Questo per dire che il successo, visto con gli occhi (umidi o meno) di un ragazzino/a, vale dieci/cento/mille/18 mila volte (o euro) di più di quanto possano percepire gli occhi di un adulto. Che abbia – o meno – i baffi di caffé sopra il labbro, ovvio.