Io sto col romeno
Sarà colpa del cielo.
Qui e ora, il cielo che mi sovrasta/soggioga è bianco. Lattiginoso. Una tela da riempire di colore, ma per il momento del-tutto-priva-di-colore.
E allora? Allora: per la mia conclamata, dichiarata, non sempre capita, meteoropatia (Zanzotto – leggetevelo – ne sa qualcosa), tendo a emozionarmi, commuovermi, piagnucolare eccetera. Persino per una notizia. Come questa.
Poche ore fa, un romeno di 30 anni, si è gettato nel Tevere. E’ disperso, ma i sommozzatori, i vigili del fuoco, i volontari stanno cercando…il suo corpo. Pare che il romeno si fosse presentato all’ospedale Fatebenefratelli accusando malori e sintomi un po’ confusi. Pare che abbia fatto la fila per ore al pronto soccorso. Pare che poi non sia stato ricoverato perché, boh, non si era capito bene cosa avesse, oppure non ci fosse un letto libero. Insomma, lui, questo ragazzo di 30 anni, doveva davvero stare male anche se nessuno aveva intuito la gravità della cosa, perché a un certo punto ha aperto una finestra dell’ospedale, l’ha scavalcata, ha raggiunto l’argine del fiume e si è buttato tra le acque gelide del Tevere.
Noi mica sappiamo chi era, chi fosse questo romeno che magari aveva lasciato il suo paese con qualche speranza in tasca. Non sappiamo che avesse nel cuore, nell’anima, nella pancia, in testa. Sappiamo solo che ha scelto la morte alla vita, sulle rive del Tevere, di quel fiume (lo ricordo a beneficio degli studenti in lettura) dove è sorta quella grande civiltà da cui, in parte-solo-in-parte (ogni civltà fiorisce nel momento in cui diventa melting pot), è germogliata l’Italia.
Se fossiamo ancora una grande civiltà basterebbe questo gesto, la scelta di questo ragazzo romeno (una persona qualunque tra milioni di persone) a farci avere un dubbio. E no. Non ci sono scuse: non venite a raccontarmi che il romeno poteva essere un folle, un po’ disadattato, un depresso, un drogato, un pore can….No, dai. Non ci sono scuse che tengono, che l’hanno tenuto ancorato al parapetto quest’uomo. Che l’hanno bloccato sull’argine. O lì, al limite tra la sua disperazione e il nulla.
Quel romeno siamo un po’ noi. "Noi che stiamo in comodi deserti di appartamenti e di tranquillità" (Umberto Tozzi, canzonetta, Festival di San Remo).