Ius cordis
E perché non lo Ius cordis? Cioè il diritto del cuore?
Torna di attualità (come i saldi di fine legislatura, ops! stagione) il tema del diritto di cittadinanza. Una questione dentro cui il parlamento italiano è impelagato da un anno e mezzo.
Il 31 ottobre 2015, la Camera aveva approvato lo Ius soli (temperato), cioè – lo ricordiamo per i distratti funzionali – il diritto dei bambini e ragazzi, figli di genitori stranieri ma nati in Italia, a ottenere la cittadinanza italiana senza dover attendere le calende parlamentari.
La legge, un atto di civiltà dovuto su cui non ci sarebbe nemmeno da discutere ovvio, è stata stoppata al Senato dai Guardiani delle frontiere (vedi alla voce Lega Nord), dalle Torrette merlate di destra (vedi tifosi d'Italia, Fratelli e Cugini d'Italia, eccetera), e non ha avuto l'appoggio dei Cinquestellati parzialmente caduti, che si sono astenuti (leggi: non so cosa penso, non so che votare) e che devono aver detto qualcosa tipo: Questa legge non è prioritaria. Che tradotto vuol dire: può aspettare altri vent'anni. Tanto – quanto a legislazione/istruzione/cultura – siamo già fanalino di coda in Europa, perché dovremmo invertire la tendenza?
Insomma, col caldo che fa, nemmeno lo Ius soli temperato – che avrebbe portato un po' di civilizzato refrigerio al paese – avrà forse la sorte di diventare legge.
E intanto circa 600 mila minorenni italiani, figli di immigrati, rischiano di avere solo la cittadinanza di un paese che è quello degli avi, che magari hanno visitato una sola volta (o nemmeno una), di cui conoscono lingua, usi, costumi per l'interposta persona di mamma e/o papà.
Tra le tante campagne portate avanti in questi anni per arrivare a formalizzare quello che è un diritto innegabile, ricordo quella degli scrittori italiani per ragazzi. Nel 2012 (cinque anni fa!) a Bologna è nato il gruppo Wwc, Writers with Children, proprio allo scopo di dichiarare italiani i bambini e i ragazzi che italiani lo sono per nascita, scuole, frequentazioni, lingua e spesso dialetto. Bambini e ragazzi italianissimi che però – a oggi – per godere dei vantaggi della cittadinanza devono aspettare di essere maggiorenni e superare tanti di quegli ostacoli burocratici da trasformarli in campioni di pazienza e sopportazione.
Ma è possibile che i nostri parlamentari non colgano la necessità di approvare rapidamente una legge simile? Che non siano in grado, per una volta, una sola, di votare un diritto "naturale"? Che non riescano a essere, per una volta e poi basta, tanto illuminati da pensare non a uno Ius soli, ma a uno Ius cordis? Un diritto che guardi al cuore, che dia il via libera a una società che non discrimini il bambino dell'asilo che è nato un braccio di mare più in là di Lampedusa, o quello studente del Classico che ha un nome esotico, eppure conosce la perifrastica attiva di Cicerone, e sa usare il congiuntivo imperfetto meglio di tanti suoi compagni coi cognomi che finiscono in – ini.
Quanta pazienza!