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[Home Altro La borsa scucita]
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[ 11/10/2012 di Emanuela Da Ros 0 Commenti ]

La borsa scucita

Ieri pomeriggio faccio un salto-si-fa-per-dire ("salto" per me equivale a: corsa in auto, accelerata, parcheggio – in divieto di sosta, ma tanto mi fermo solo 5 minuti e vuoi che il vigile sia proprio lì a darmi una multa?- chiusura della macchina (ma l’ho proprio chiusa?) e uno/due/massimo tre passi a piedi) da Raffaele Salton, il mitico libraio del Treno di Bogotà che – nomen-trae-in-inganno – non è un convoglio ferroviario, bensì una libreria per ragazzi.

Dico a Raffaele che sono stressata eccetera, che non ho nemmeno il tempo per leggere i giornali.

Lui? Lui risponde che i giornali non li prende nemmeno in considerazione perché non ha nemmeno il tempo per leggere libri.

E "leggere libri" per Raffaele è lavorare, o – quanto meno – aggiornarsi per lavorare meglio.

Dettagli, questi che racconto. Per introdurre un tema spinoso, anzi: scucito. Il tema della borsa.

Quando si parla di borsa – a livello mediatico – non s’intende la borsa che noi donne portiamo a tracolla, eppure un’attinenza, una connivenza, tra la borsa e la Borsa, con la B cicciona, c’è. Sempre.

La Borsa con la B cicicona, che interessa i mercati internazionali, e che influenza non solo l’economia, ma anche la politica, la società e la cultura è più o meno pesante, è più o meno di classe, è più o meno soggetta allo spread.

La borsa, che noi donne portiamo a tracolla o in mano influenza la nostra andatura (se è pesante, ci fa barcollare; se è troppo leggera ci fa tremare al pensiero di quello che non contiene e che ci servirà di sicuro), la nostra relazione con gli altri (dove ho lasciato la mia borsa? Oh, mamma: l’ho scordata al bar), il nostro rapporto con la cucitura. Un assurdo? macché: è assodatoeindiscutibile che lo spread sta alla Borsa (con la B cicciona) come la scucitura sta alla borsa che portiamo a tracolla.

E ieri, dunque, dopo aver salutato Raffaele e aver fatto un salto-si-fa-per-dire-alla mia auto mi sono accorta che mi mancavano le chiavi della macchina. E visto che la macchina era chiusa (a volte i dubbi potremmo lasciarli ai filosofi) ho pensato che le chiavi dovevo averle usate per forza. Così ho ravanato come un criceto dentro la borsa, con la b magra, e tra la trousse, il portafogli, le chewingum, due libri, un taccuino, tante briciole, otto scontrini fiscali, un rossetto, una scatola vuota di aspirine effervescenti, documenti vari, un biglietto di auguri di buon compleanno recapitato alla sottoscritta quasi un anno fa e altre amenità, ho scoperto che la borsa era scucita e che il mazzo di chiavi aveva preso il volo. Per fotuna era caduto nei pressi. E quindi la storia è finita bene: ho aperto la macchina e.

E mi si è profilata l’intenzione di fiondarmi subito dal mio economista, cioè dal mio calzolaio, per farmi cucire la borsa e non rischiare di perdere altri punti.

Se non che, ha squillato il telefono, mi sono recata a un appuntamento, mi sono ricordata di aver lasciato la pentola coi fagioli a bollire sul fuoco e.

E oggi la mia borsa è ancora scucita. Pure lei, come la Borsa con la B cicciona. Ma, prima o poi (spero prima) la riparerò. Non voglio che finisca tra le notizie del giorno. Quelle impossibili da leggere, ma soprattutto da capire.

 

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