L’acqua è mia, non tua
Ho due rose sulla scrivania.
E’ evidente: questa è un’informazione del cavolo (per quanto fiorita). Eppure è un’informazione vera: io ho due rose sulla mia scrivania. Due rose rosa, per giunta.
Le ho tagliate ieri nell’ortogiardino dei miei genitori, me le sono portate a casa e mi sono incredibilmente ricordata di metterle nell’acqua. Perché – pare – che le rose recise senz’acqua non vivano. Sfioriscano.
Conosco qualche miliardata di persone che senz’acqua farebbero lo stesso. Non vivrebbero. Sfiorirebbero.
Eppure pare che anche l’acqua, un bene primario, naturale, essenziale, collettivo, possa essere "privatizzata". Possa diventare proprietà privata. Ed essere erogata solo a chi potrà permettersela.
Pazzesco?
Sì: pazzesco.
Parlare di "privatizzazione dell’acqua" è come parlare di libri con le spine, pomodori senza polpa; cieli con le pietre, penne senza inchiostro; patatine fritte con la vernice, boschi senza radice. E’ un tema assurdo, grottesco, sferragliato di stupidità.
Ma è di questo che si va discutendo: di privatizzare l’acqua.
Diciamocelo, dai: qualcosa non funziona. Ma no: non nel ragionamento che non c’è. Nei nostri vagolii sinaptici. Abbiamo abdicato alla ragione e al sentimento, diventando schiavi di orgoglio e pregiudizio. Senza nemmeno passare dal buco della letteratura.