Le lamette di Irene
Se un pomeriggio d’autunno un viaggiatore (anzi: una viaggiatrice) senza spostarsi dalla scrivania, senza togliersi l’unico calzino rosa che ha ai piedi (l’altro chissà dov’è finito) accende il suo computer (è una bugia: il suo computer è SEMPRE acceso), ma insomma ci zampetta sopra, annulla il salvaschermo a forma di acquario con tanto di pesci tropicali che ci sguazzano dentro; apre skype e si mette in video comunicazione con sua figlia (Stefania, anni 22, bellezza/dolcezza da asta di Christie’s) che in quello stesso istante (pensa un po’ che culo hanno certe viaggiatrici) sta in una soffitta triestina ma sta pure lei in video skype…ecco, a questo punto: cosa può succedere?
Avvertenza: il dialogo che state per leggere è personale, soggetto alla legge sulla privacy, e mooooolto probabilmente costituirà motivo di vivace incomprensione e/o divorzio formale tra una madre e una figlia. Ma vuoi mettere? vuoi mettere la soddisfazione di con-di-videre un dialogo che ha illuminato d’immenso un pomeriggio angusto come questo orizzonte?
Ste: Ciao mamma, come va?
Io: (ansimi, sospiri e spaturnioni vari) Va benino, sì, insomma, dai. Tu come stai (Baglioni, cfr)?
Ste: bene!
Io: in effetti sei bellissima. E anche molto bionda.
Ste: Ah! Mamma: questa è Valentina, la mia amica. Te la presento.
(Sul monitor del computer appare – accanto alla Ste – una ragazza mora che sta tentando di infilarsi un termometro sotto l’ascella.
Io: Ciao Valentina, piacere.
Valentina: Ciao, mamma-della-Ste. Scusa ma mi sto provando la temperatura perché domani dovrei andare a Londra che è la mia città cult e la Ste mi ha ha detto che è pure la tua città cult ma non mi sento troppo bene per cui mi testo. Ah! ecco: ho trentasei e sette. Bene. Pare sia tutto a posto o forse non lo è: dopo mi do una ricontrollata.
(Valentina e il termometro sparicono dla monitor)
Ste: crede di avere la febbre. Ma sta benissimo.
(Sul monitor, in secondo piano) si materializza Irene. Armeggia con un cassetto. Rovescia dei libri. Monologa con una lampada, probabilmente mastica una parolaccia).
Io: Ciao Irene!
Irene: Ah! ciao. Scusa, ma sto cercando le lamette.
Io: (sguardo perplesso/interrogativo/curioso)
Ste (didascalica): Domani la Ire ha un esame!
Io: Ah! ecco spiegato il motivo per cui sta disfando la casa per cercare delle lamette.
Irene: No. E’ che proprio mi servono.
Io: Sì. Ti capisco. In effetti presentarsi a un esame universitario con la consapevolezza di non avere peli debordanti è di grande aiuto. L’autostima passa (anche) attraverso il pelo superfluo. Ma, voglio dire, magari potevi farti una ceretta anziché rincorrere una lametta.
Irene: Sì. D’accordo. Ma la lametta mi serve per deflorare le foglie. Per ridurle in listarelle e analizzarle al microscopio.
Morale?
Nessuna! Non so – mentre scrivo (la comunicazione video skype è stata interrotta: indovinate da chi?) – se la Ire abbia trovato le lamette, se Valentina abbia la febbre, se la Ste sia più bionda ( a Trieste non piove: c’è il sole!). So che questo post, complice la pioggia, oggi era davvero l’unica parentesi di parole che avrei potuto fissare sulla labile ma luminosa parete di questo monitor. Eccolo qua. Inchiodato a perpetua (si fa per dire) memoria.