Lo scherzo di Renzo
Non è mia abitudine consolidata.
Non è mia abitudine quella di mettere nei post di questo blog il nome-e-cognome dei soggett-/oggetto di quanto mi succede.
In questo caso lo farò. Per scherzo. Ma lo farò. Rivelerò il nome-e-cognome dell’oggetto/soggetto di questo post.
Renzo Piccin (nome-e-cognome, come volevasi dimostrare) fa il veterinario a Vittorio Veneto. E’ uno dei veterinari più qualificati che possiate incontrare. Non solo: è una persona eccezionale. Un uomo sensibile, intelligente, vocato e votato allla sua professione. Che è una professione da pochi eletti (e siamo al di fuori degli organi legislativi, sia chiaro). Renzo Piccin è un amico. Di quelli che hanno tutte le doti per essere amici: è onesto, generoso, altruista, empatico e simpatico.
Se possedessi (prima o poi mi auguro di possederlo) un qualunque animale domestico, lo affiderei ciecamente alle cure del dottor Piccin.
Chiaro il quadro?
Bene. Il solo difetto che Renzo Piccin (cavaliere della Repubblica, tra le altre cose) ha è che ama gli scherzi.
E uno/una che lo conosce dovrebbe saperlo.
A me, purtroppo, il particolare sfugge sempre.
Oggi. Oggi – per esempio – mi capita di avere una giornata convulsa. Sto qualcosa tipo dieci ore al computer, tra mail skype gooooogle e aggiornamenti vari. Sto al telefono almeno un paio d’ore per il mio lavoro. A un certo punto, in questo universo appuntito di informazioni, mi arrva una foto e una reticente didascalia di Renzo Piccin, l’amico veterinario.
La foto è quella di un uomo in gabbia con un orso. La didascalia dice: Ne è uscito proprio malconcio. E’ accaduto oggi. Hai notizie? Hai sentito qualcuno del Pronto soccorso?
Sono le sette di sera. La mia giornata è inizata 12 ore prima. Sto pensando – in un accesso di comunicazioni più o meno interlocutorie – di tagliare i ponti col mondo (non sto scherzando: se uno mi offrisse una vacanza premio in un villaggio turistico di Sharm el Sheik penserei che vuole torturarmi). Sto pensando che non vedo l’ora di leggere Anna Karenina, di preparare la cena a Umbi e Valentina, di salutare la Ste e di fiondarmi a letto. Sto pensando che voglio chiudere il computer e ascoltare solo il tamburellare della pioggia sul tetto.
Sto pensando che ho già dato troppo, come giornalista. Ma.
Ma la foto di Renzo Piccin è là. Là c’è l’immagine di un uomo a pochi passi da un orso.
Non posso ignorarla.
Penso che non me lo perdenerei. Che se l’uomo aggredito dall’orso fosse che -so in prognosi riservata – domani altri giornali ne parlerebbero mentre io, che avevo la notizia servita su un piatto d’argento con tanto di documentazione fotografica, sarei andata a letto a leggermi Tolstoj.
Che follia.
Alle sette e dieci chiamo Renzo Piccin. E’ gentile, spiritoso, ma glissa. Non mi arrendo. Faccio una ricerca su Google. Chiamo il proprietario dell’orso. Dell’orso che dovrebbe aver aggredito un uomo. Una, due, tre telefonate. Ho il contatto. Parlo. parlo, parlo. Perifrasisticamente giro intorno alla notizia che mi aspetto di avere.
Bum.
L’interpellato non regge.
L’unica dichiarazione che riesce a farmi è: Renzo Piccin ha architettato uno scherzo!
Sono le sette e mezza. Forse è ancora più tardi. Io sono cotta. Fusa. Stanchissima. Odio ogni mezzo di comunicazone individuale e di massa. Sogno un eremo. Uno qualsiasi, basta che non sia troppo freddo e umido. E invece mi trovo con una notizia che si sbriciola tra le mani come un savoiardo.
Morale?
Questo post è uno scherzo. Dedicato a Renzo. Piccin.