Mi hanno mandato a cagare!
Ho ereditato da nonna Rosa qualche centesimo di superstizione.
Non passare mai sotto una scala!, diceva quando – da bambina – mi divertivo un sacco a saltellare in cortile e – se c'era una scala a pioli aperta – a passare e ripassare sotto quella che probabilmente mi pareva una capanna, una tendina di legno/alluminio o chissà che altro.
Non poggiare cappello o ombrello sul letto!, mi avvertiva quando andavo nella sua camera a farmi raccontare una storia (per lo più la solita storia, che aveva a che fare coi bombardamenti, la fame, il furto di una fetta di polenta e tante risate-da-marachella veniale).
Nonna Rosa ce l'aveva anche col venerdì 17. E io – da adolescente – quando avevo compito di greco il venerdì 17 pensavo che mi sarebbe andato male. E quindi era inutile che smanettassi tanto sul Rocci, giusto?
Un venerdì 17, nel tardo pomeriggio, era sicura che quella giornata infausta stesse finalmente per passare la mano. E così avevo deciso di accucciarmi dentro il peggiore pigiama che avessi, di struccarmi, di spettinarmi a dovere e di essere l'altra faccia della sedicenne che non sarebbe uscita di casa senza mascara, kajal, penna blu e fard nemmeno se la terra avesse preso a tremarle sotto il culetto tonico (be': in quel caso magari l'avrebbe fatto, visto che la scossa del Friuli che aveva sentito da poco non le era garbata granché). Ma a un certo punto suona il campanello. La sfigata in pigiama va ad aprire (suo malgardo) e si trova davanti il figaccione del liceo che le piaceva un casino e che non credeva sarebbe mai andato a trovare proprio lei.
Morale? La cretina (leggi: la sottoscritta) spettinata, struccata e farcita come una melanzana con lo zabaione resta a bocca aperta sulla soglia, senza sapere che dire se non: Ah! Ciao! Tu? Ma sai che è venerdì 17?
Il figaccione deve aver risposto qualcosa di molto brillante, prima di andarsene visto che la sfigata manco ci aveva pensato a farlo entrare in casa. L'aveva tenuto trenta secondi sulla soglia come un testimone di Geova e poi aveva – come dire? – sfogliato il calendario per dare un sapore magico alla "conversazione".
Nella nebulosa dei ricordi, mi pare che il figaccione non si sia più presentato e la cosa deve avermi dato la certezza scientifica che il venerdì 17 era una pessima giornata.
Stessa cosa per il gatto nero, che – diceva nonna Rosa – quando ti attraversa la strada devi cambiare direzione. Ai suoi tempi la faccenda era semplice. Nonna Rosa andava a piedi o in bici e un sentiero valeva l'altro.
Più difficile è cambiare direzione se sei in autostrada (l'altro ieri c'ero), un gatto nero ti attraversa la corsia (l'ha fatto) e devi per forza continuare ad andare avanti.
Oggi comunque mi ha attraversato la strada un gatto bianco! Tutto bianco!
E ho pensato che per la proprietà transitiva della sfiga se il gatto nero non la porta buona, il gatto bianco è fortuna assicurata.
Con questo sorriso-auspicio mi sono presentata dal pittore Bruno Donadel che avevo intervistato per il Quindicinale qualche giorno fa.
Va a cagare! Va a cagare! Va a cagare!.
Ecco sono state queste (la trascrizione è letterale) le parole con cui l'artista (intento a creare, e forse gli avevo rotto i pennelli) mi ha accolta. Era davvero rabbuiato per due ragioni insindacabili: nella foto che gli avevo scattato appariva coi capelli bianchi anziché nerilaccati e poi (maldestrissima!) gli avevo attribuito 87 anni invece che 86.
Insomma: diciamo che il gatto bianco non mi ha proprio aperto le porte d'artista.
In compenso, prima di mezzogiorno, quando avevo un simpatico appuntamento col dentista, ho incontrato un amico, che ha fatto una faccia.
Una faccia che era il sommario di un manuale per riconoscere una Tagliata Fuori dal Gruppo.
L'amico ha poi chiarito di aver ricevuto da un altro amico una mail nel quale io ero l'oggetto della virtualeverbaleconversazione.
"Nella mail – ha precisato l'amico (il mio, non l'amico del mio amico) – c'era scritto che sei una venduta e comunque non vali niente, perché quello che si può dire di te è che sei solo una piccola scribacchina".
Ora: dare la colpa al gatto anche per insinuazioni, insultini, giudizi che sembrano dettati da un prof di greco al quale hai consegnato una traduzione che nemmeno il venerdì 17, mi pare troppo. Per cui se la giornata non è proprio piena di promesse, sorrisi, abbracci, successi eccetera, vuol dire che c 'entra la scala. Quella che stava in cortile quand'eri piccola. E che chissà dov'è finita. E che chissà se si può ancora usare.
In maniera alternativa!
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