Molesini e la camicia con le iniziali
Argomento del post: Andrea Molesini e cosa mi metto.
Poche ore fa sono stata nella libreria di Mario (Il Punto, Vittorio Veneto) per un incontro con lo Scrittore Premio Campiello Andrea Molesini.
Mario mi aveva invitato come giornalista, autrice o semplicemente amica. Ho accettato l’invito in quest’ultima veste. Spettinata al punto di non ritorno, lessa come una coscia di tacchino che ha bollito più del dovuto, stranita dalla pagella di mio figlio (tre in Matematica? ma non aveva sette al primo trimestre?) mi sono presentata all’incontro con l’aria di dire: Eccomi qui, ma non aspettatatevi nulla oltre il brodo.
D’altra parte io stamattina mi ero alzata più o meno alle sei, avevo scorso i titoli dei media online che consulto di solito sbrodolandomi addosso il caffè bollente; avevo portato mamma Margherita a Treviso a fare un giro di shopper (shopper è una pratica ginnica che consiste nel girare per i negozi con le borse vuote e farle restare tali), ero tornata casa dopo aver fatto 70 euro di pieno benzina e aver sentito il benzinaio della Tamoil di Villorba dire che 70 euro – una volta neanche tanto tempo fa – equivalevano a 140 mila lire e che- una volta neanche tanto tempo fa – con 140 mila lire ne facevi almeno tre di pieni; avevo scritto, letto, intervistato, messo i piatti in lavastoviglie, buttato i fagioli andati in depressione da condimento sbagliato nel cestino dell’umido; fatto la spesa; rovistato nell’armadio per scegliere una maglietta pulita da indossare dopo la doccia; fatto la doccia; messo le magliette sporche in lavatrice; ritirato la biancheria asciutta; cucinato le salsicce; chiamato un po’ di gente che doveva essere richiamata, eccetera.
Quando mi sono presentata alla libreria avevo in testa e in pancia un cumulo di azioni e di sensi d’impotenza (tre in Matematica? e come fa a recuperare?) che ho pensato che ero fuori luogo. Così, salutando Andrea Molesini, ho notato di lui solo una cosa fondamentale: che aveva la camicia con le inizali ricamate: am. Aveva anche una bella cravatta e una giacca di panno grigio che era una figaggine. Avrei voluto dirglielo. Solo che poi due lettori/ammiratori di Molesini si sono avvicinati a lui e si sono complimentati con lo scrittore per il suo pezzo…quello sui garduz che camminavano in fila sul tronco di un vecchio albero. "Una pagina davvero commovente e memorabile", hanno detto ad Andrea Molesini. Lui è stato zitto nella sua camicia con le cifre ricamate. E a un certo punto ha incrociato il mio sguardo: scettico e lesso. In disparte, gli ho chiarito che lo sguardo era dovuto al fatto che mi ero accorta che i due lettori avevano preso un granchio: avevano scambiato Molesini con Meneghello e si stavano congratulando con lui per Libera Nos a Malo.
Molesini si è come rincuorato: "Infatti! – ha detto – Mica mi ci ritrovavo in questa descrizione dei garduz".
Comunque poi il nostro autore ha ripreso la scena. E ha detto tante cose che valevano la pena di essere ascoltate (mi sono persino distratta dalla sua camicia). Tra le altre ha detto che il fatto di essere tradotto in tutte le lingue europee più importanti "nutre la sua vanità di scrittore" perché (le parole esatte non le ricordo) "perché la traduzione conferma che le pagine scritte sono letteratura".
Dopo aver lasciato la libreria, mi sono chiesta se sia vero. Se quella di Molesini possa essere una definizione accettabie di "letteratura", se la traduzione in più lingue di un libro ne faccia un’opera con la O grande grande.
Mi piace pormi queste domande mentre rincaso, stendo la biancheria, pulisco la piastra dai residui di salsiccia e penso che la maglietta pulita che ho scelto di indossare fa schifo. Anche se ha l’iniziale B di Benetton. Anche se quella maglietta è tradotta, cioè venduta, a NY, Istambul, Roma, Barcellona.
Ma forse non è la maglietta in sè che fa schifo: è la faccia da coscia da tacchino lessa che una si ritrova verso le sette/otto di sera. E quella faccia una può tradurla o incipriarla in tutte le lingue del globo, ma resterà sempre una faccia da coscia di tacchino lessa. E questa non è letteratura: è la parafrasi della stanchezza.