Nel buco nell’ozono ci metto un piercing
Mio figlio Umbi l’altro giorno ha fatto il pavone.
Lo scrivo confidando nel fatto che, dato che dedica alla lettura un cinquantesimo del tempo riservato alla cura e alla pulizia personale, probabilmente non troverà due minuti per leggere il mio blog. E poi anche se avesse quei due minuti, li userebbe per chattare, netlogare, messaggiare, telefonare, non leggere, appunto.
Dicevo che mio figlio, l’altro giorno, ha fatto il pavone. S’è piastrato e incollato i capelli a cresta e quando è uscito dal bagno, insieme a una nuvoletta del gas altamente inquinante della bomboletta di lacca, sembrava un vero pavone con la ruota aperta. Solo che la sua ruota era bionda, non multicolore; solo che la sua ruota era fatta di peli e non di piume. Dettagli.
Mio figlio, 14 anni, è in quella fase dell’adolescenza (esiste ancora l’adolescenza?) in cui piuttosto che parlare con me, motteggia. Con me (a eccezione di quando non trova un paio di jeans in q el cantiere archeologico perennemente in scavo che è la sua camera) usa di norma il codice mimico e/o gestuale. Il codice verbale/iconico (il suo profilo netlog spumeggia di foto, che peraltro ho intuito bellissime) lo tiene (si presume) per gli amici e (si spera) per i prof (i veri santi-eroi-navigatori del maremosso Teenager).
L’altro giorno, quando invece del pavone, ha fatto l’emo-tivo di conversazione, mio figlio Umbi mi ha detto (usando la lingua nazionale!) che al biennio dello Scientifico che lui frequenta, su 150 ragazzi, solo due vanno a scuola in moto: una compagna che ha il Ciao e un amico che usa l’Ape di suo padre. Ha aggiunto che tutti gli altri vanno a scuola in bici o a piedi o si fanno accompagnare dal papi.
Mi sono complimentata con i compagni di mio figlio. Gli ho detto che mi piaceva enormemente sapere che nella sua scuola i ragazzi avevano una coscienza ecologica, che pensavano alla propria salute e all’ambiente.
Mio figlio mi ha guardato perplesso (almeno a giudicare dall’espressione delle labbra: gli occhi sono coperti dalla frangia che gli arriva al naso-compreso). E poi mi ha detto che pensare all’ambiente non ha senso. Nella discussione che ne è nata ho cercato di ricordargli come l’inquinamento sia uno dei tanti problemi gravi che ci affliggono e che proteggere il mondo, cioè la nostra vita è…una ragione di vita. Lui, che è cresciuto in un ambiente che all’ambiente come valore ha sempre creduto, ha ribadito che lui e i suoi compagni dell’inquinamento se ne fregano, che se il mondo va a rotoli, vuol dire che fatalisticamente così deve andare, che al domani non ci pensa nessuno, che si vive qui e ora, hic et nunc (il latino singhiozzante è mio), che se l’ozono c’ha un buco si metterà un piercing…
Gli ho risposto che mi rifiutavo di credere che stesse parlando sul serio. Lui, serissimo, mi ha sorriso.
Sulla gengiva, sopra gli incisivi drittissimi (e ci credo: l’apparecchio ortodontico che si è tolto solo ieri era costato 5 mila euro), gli è spuntato un piccolo piercing ad anello. Un piercing che si era fatto fare chissà come, chissà da chi, chissà quando. Anzi il "quando" lo so: nello stesso istante in cui io mi tormentavo a pensare al buco. No: non quello sulla gengiva di mio figlio, quello sulla gengiva del mondo.