No!
No, no e ancora no!
Sapete cosa va-di-moda in questo periodo? dire di no. Siiiì!: avete letto bene. Dissentire è la tendenza più cool del momento.
In Francia hanno il No Sarkozy. In America hanno: il No Life (movimento di coloro – chiamali scemi – che preferiscono la vita virtuale a quella reale), il No Logo (introdotto dal saggio della giornalista canadese Naomi Klein e divenuto il manifesto dei No Global), il No Kids (per quelli che non ne vogliono sapere di avere figli), il No Meat, il No Sex, il No Shop Day, il No Pants Day (per coloro che vogliono andare in giro in mutande) e via scrivendo.
Dire no a questo e a quello insomma fa figo.
E visto che io aspiro a elevare almeno il livello di figaggine (visto che il livello umorale è sceso sotto il Tropico del Capricorno), ho deciso di dire No a:
– il colore fucsia su camicie, maglie, braghe e mutande;
– Papi;
– il mal di testa in tutte le sue insidiose forme (a grappolo, a monetine, a spigoli vivi, a martelli pneumatici);
– al ragù;
– ai pelucchi di polvere (basta che sgommino via senza chiedere il mio intervento anti sommossa polverosa);
– l’ipocrisia, l’ignoranza, la stupidità, l’intolleranza, l’oblio, la grettezza, l’ottusità e tutte le loro coalizioni;
– i film dei fratelli Vanzina;
– le penne biro con la rotellina che s’incastra.
Basta.
Ah! Avrei anche deciso di dire No, non esci a mio figlio, ma è uscito prima che potessi tradurre la decisione in parole. E se anche fossi riuscita nell’impresa, ho il vago sospetto che mio figlio sarebbe uscito di casa lo stesso. Perché è inutile che il filosofo Alain dica che "pensare è dire no". Io non solo penso, ma penso che il no dovrebbe essere punzonato sopra un sacco di cose, faccende, persone, personaggi. Certi, sul lobo dell’orecchio (maschile o femminile) non dovrebbero portare orecchini o auricolari, dovrebbero portare un’etichetta pendente con stampigliato il monosillabo No.
No?