Oriolo, il paese dei matrimoni
Siete mai stati a Oriolo?
Se, in qualche modo, avete intenzione di sposarvi, potreste scegliere questo piccolo comune della provincia di Cosenza come altare naturale (Oriolo si trova a 500 metri di altezza, nell'alto Jonio, al confine tra Calabria e Basilicata).
Quello che dovreste evitare, nell'eventualità, è di programmare le nozze nel mese di agosto.
Perché ad agosto Oriolo, 2300 abitanti, diventa "il paese dei matrimoni": ogni giorno ce n'è uno (o più di uno) e la Chiesa Madre (dominata da un turrito castello aragonese) è più affollata dell'Ikea sotto Natale.
Ad agosto di quest'anno, ad esempio, la chiesa di Oriolo ha ospitato 32 matrimoni, uno in più di quelli che potrebbe contenere il calendario. Davanti all'altare sono stati pronunciati tanti di quei Sì, lo voglio, che se Obama l'avesse saputo ci avrebbe ambientato la sua campagna elettorale. Tanto volere è anche potere, in italiano, come in inglese.
La faccenda curiosa è che il matrimonio, a Oriolo, è un evento collettivo: una specie di sagra col velo da sposa.
Invece di spedire le partecipazioni tradizionali, gli amici dello sposo – dividendosi in gruppetti – si recano in tutte le case ad avvisare parenti, amici, conoscenti, compaesani che la tale oriolese sposerà il tale oriolese. E tutti, ma proprio tutti, sono invitati alla cerimonia.
Ogni matrimonio (escludendo gli anziani, che hanno deciso che di matrimoni ne hanno avuto abbastanza, quelli che quel giorno lavorano, quelli che si danno malati, quelli che quel giorno mi dispiace proprio ma ho un impegno preso un sacco di tempo fa) conta infatti quasi un migliaio di partecipanti, che poi – per ragioni diverse – si riducono a 800 o 500. I matrimoni più sfigati hanno "solo" 400 invitati presenti.
Vivere a Oriolo, in agosto, significa alzarsi ogni giorno dal letto e mettersi il vestito della festa. E siccome il vestito (si tratta pur sempre di un matrimonio!) non può essere sempre lo stesso, gli abitanti di Oriolo, in agosto, tengono nell'armadio solo abiti da cerimonia.
Poi il matrimonio, oltre a una mise decorosa, richiede altri due o tre ingredienti irrinunciabili: i confetti (giuro che si trovano lungo le stradine del paese, distribuiti come i sassi di Pollicino), il riso da lanciare agli sposi (ce n'è ovunque) e il regalo da fare ai due colombi.
A Oriolo, comuqnue, non esistono le Liste nozze. Agli sposi si dà la "busta". E ognuno ci mette quello che crede, ma – in genere – ci ficca dentro 500 euro.
Vista la quantità di buste ricevute per le nozze, i neosposi di Oriolo potrebbero accendere il mutuo per la casa. Se non fosse che, dopo il fatidico sì, devono pagare il rinfresco (meglio chiamarlo pranzo) alle centinaia di invitati di cui s'è detto. E così le buste si sbustano.
La curiosità che mi è venuta di fronte alla febbre nuziale di Oriolo è: se il paese ha solo 2300 abitanti (nel primo dopoguerra ne aveva il doppio), com'è che ci sono tanti matrimoni? O gli abitanti si sposano due o tre volte, oppure qualcosa non torna.
Invece torna tutto: tornano persino gli emigranti. In agosto, a Oriolo, tornano i figli dei figli dei figli di questo bel paese arroccato su una rupe che si chiama Rupe, che ha un rione che si chiama Terra, e una fiumara che lo collega al mare che si chiama Ferro (…quando si dice che la toponomastica è sincera). Gli emigranti tornano a casa per sposarsi e il matrimonio, in fondo, è un pretesto per rivedere tutto il paese, tutti (o quasi) i suoi abitanti. Nel modo migliore in cui possono presentarsi: in ghingheri.
Non è puro romaticismo?