Perché ho i capelli color topo
Mica ci voleva chissàchecosa.
Bastava sentire Mark Zuckeberg, ovvero Mr Facebook, per rispondere a quell'inquietante interrogativo da almeno tre settimane aleggia tra la (mia) base del collo e la nuvoletta di acerbi pensieri sospesa sopra la (mia) fronte per capire perché non mi sono ancora decisa a dare ai miei capelli un tocco di meches.
Ah: lo so! Lo so che i miei due virgola tre lettori si aspettano che io nel blog affronti temi spinosi come il totopresidenteallarepubblica post-Napoitano; che li illumini sul patto evacuato del Nazareno; che gli spieghi perché Salvini è filato come un ariete in un campo Rom o Sinti senza avere un cacchio da dire in effetti; che cerchi di comprendere le ragioni profonde per cui i 5 mila aspiranti alla frequenza della facoltà di Medicina che sono stati trombati al concorso, e che hanno fatto ricorso e che sono stati promossi e riammessi alla frequenza, ora possono scegliere quale facoltà frequentare al contrario di quelli che non sono stati trombati in prima battuta e che devono accontentarsi di iscriversi laddove glielo dice il ministero.
Lo so che i miei uno virgola zero lettori (nel frattempo si sono ridimensionati) si aspettano da me che affronti questioni degne del nome questioni, ma.
Ma la verità vera è che io devo andare dalla parrucchiera. La verità vera è che ogni volta che mi guardo allo specchio vedo i miei capelli color topo. E prima di mettere un mollettone dietro le chiome mi ripeto che sì: è giunta l'ora. Di farmi una piega, un taglio; di darmi un un po' di colore.
Ma poi, travolta da un insolito (be': insolito si fa per dire) destino di ordinaria amministrazione, mi distraggo da me stessa, dalle chiome per nulla aulentissime e continuo a vagolare qua e là con i capelli da roditore.
Oggi però mi sono imbattuta in Mark Zuckerberg che in un video ha spiegato perché (lui) non si cambia mai la t-shirt grigia.
"Non penso al look – ha detto più o meno Mr.Facebook -perché sottrarrei energie alla community di Fb."
Mark ha chiosato che no, non può pensare alle cose frivole, tipo un vestito, quando chi lo segue si aspetta molto più da lui.
E' stata una lezione. Illuminante. Al pari di una meches.
Con Mark ho capito che i capelli color topo che occhieggiano sopra la mia fronte non sono che un dettaglio. E che non posso concentrarmi su una ciocca quando la banca centrale russa libera il rublo dalle speculazioni sui cambi, quando la Catalogna si schiera per l'indipendentismo, quando un aereo partito da Comiso per Bologna lascia a terra 180 immigrati per paura di un contagio, quando il 90 % dei medici in Italia non vuole accettare l'interruzione di gravidanza di una donna o quando la ministra della difesa Roberta Pinotti dà forfait e non si presenta a Vittorio Veneto alla riapertura del Museo della Battaglia.
Le questioni sul tappeto brillano di luce propria e fa niente se un infinitesimale, impercettibile riflesso di Tutto Ciò Che Succede non brillerà sui miei capelli.
Io sono come Mark. Cioè un po' come Miss Rabbitbook: penso alle faccende serie. E – soprattutto – evito di guardarmi allo specchio.