Prepotente come un bambino
Travolta dalla solita voglia di pizza nell’azzurro cielo di ottobre, oggi mi sono detta: Dai Manu! tradiamo la pizzeria e andiamo al panificio.
E così è successo che, oltre le baguette, le tartarughe, i kaiser, i bocconcini al latte, le mezzelune al kamut e girasole, mi sono trovata dentro un paniere di donne in chiacchiere. Il particolare (leggi: le donne in chiacchiere) sarebbe stato trascurabile quanto il sacco con la farina di segale, se le tre di cui sopra non avessero tentato di coinvolgermi in un caotico impasto argomentativo.
– Sentiamo cosa pensa di tutto questo la dottoressa! – ha detto la panettiera dietro il bancone.
– Cosa penso di cosa? – ho risposto interrogativamente io (che, per la cronaca, sono "dottoressa" in virtù di un diploma di laurea che nulla ha a che spartire con la medicina).
– Del fatto che i bambini marocchini facciano i prepotenti.
Visualizzate la scena. Io entro in un panificio perché ho voglia di un trancio di pizza alle verdure. E’ quasi l’una e ho una fame che mangerei un’orata al sale senza sale. Però, visto che l’orata s’è defilata, ardo dal desiderio di pizza. Mentre ardo, trovo tre donne che – concordemente-oh-mamma! – si dicono preoccupate per il fatto che alcuni bambini marocchini (età: dai 5 ai 10 anni) giocano sul campetto della parrocchia impedendo con la forza a dei bambini non marocchini di accedervi. Secondo le tre donne l’episodio è inqualificabile perché il campetto parrocchiale è stato creato in primo luogo per i bambini cattolici e non è giusto che sia monopolizzato da quelli arrivati per ultimi.
Io guardo le tre tipe con l’aria di quella che non capisce il senso del diverbio verbale.
Le tre captano l’aria assente.
Istante di silenzio.
A un certo punto, la più vispa delle tre intuisce il mio vago disappunto a partecipare alla conversazione e chiosa che "a me forse l’argomento non interessa dato che mio figlio non frequenta il campetto parrocchiale".
Allora, solo allora, con una sintesi lessicale che non mi appartiene faccio presente alle tre pokeriste (la verità è che giocavano una mano di chiacchiere e gli mancava la quarta) che non è una "questione personale". Che marocchini, hindi, pakistani, italiani per quanto mi riguarda potrebbero, anzi: dovrebbero, giocare dovunque. E tutti insieme. Faccio notare che se le piccole bande si creano anche tra i piccolissimi, questa è una legge di natura universale, non settoriale, non nazionalistica. Che io trovo che i marocchini in genere siano "estremamente corretti e gentili"; che io sono multietnica contro ogni (ir)ragionevole confutazione; che un campetto parrocchiale nato dall’esigenza cristiana di accogliere tutti, di fare in modo che gli ultimi (arrivati) siano i primi dovrebbe essere un luogo di confronto non di scontro. E chiudo dicendo che le mamme anziché parlare tra loro dovrebbero semplicemente dire ai bambini marocchini di non fare i prepotenti oh là.
La soluzione era semplice come l’uovo di Colombo. Non avrebbe avuto bisogno di chiacchiere, ma viviamo nell’età di Bruno Vespa e le chiacchiere impellono come i bisognini quotidiani dopo che si è bevuto il latte caldo. E, a proposito di latte, la pizza era un po’ unta. Sul fondo, sopratutto.