Sono caduta dalle scale
Sono caduta dalle scale.
Ok, ok. Non è entusiasmante. Nè la notizia-si-fa-per-scrivere; nè il fatto in sè. Ma ci tenevo a informare l’unico lettore rimasto sulla soglia del mio blog che posso crollare anch’io. Non come la borsa, le azioni, Wall Street. Io posso cadere come una peracotta, tutt’attaccata/tutt’acciaccata.
L’altro ieri sono caduta dalle scale del palazzo triestino dove abita mia figlia. E’ uno di quegli edifici asburgici, doppiopettuti, eleganti, con qualche baffo di modanatura alle finestre, gli androni-gola profondi un po’ (troppo) bui e le scale di pietra, basse, deformate dai passi. Io avevo nelle mani la borsa e due, tre sporte di biancheria sporca. Avevo ai piedi le ballerine di pitone (il dettaglio è irrelevante, ma fa molto Carrie Bradshaw) e scendevo rapida come Cenerentola allo scoccare della mezzanotte (la lavanderia stava per chiudere: dovevo far presto). A certo punto non so come la scarpetta è scivolata sullo scalino e io sono pomfata giù. Avevo le mani impegnate per cui ho appoggiato gomiti, culo, schiena, scapole e mi sono fatta quattro o cinque gradini come se fossi stata dentro la pancia di un bob. Sono che il bob ero io e sotto di me non c’era morbida neve ma durissima pietra.
Dopo lo sfracellamento comunque, mi sono alzata, sono andata in lavanderia, ho lavato i panni eccetera. Perché noi donne-cenerentole non abbiamo tempo di star lì a piangere sul corpo versato, fare le piagnucolose, pensare Toh! (o Merda! o Cazzus!) potevo rompermi l’osso del culo! Noi donne-cenerentola dobbiamo rimboccarci le maniche (non troppo, perché se no si vedono le botte nere) e andare avantimarsh.
E dobbiamo pensare che c’è chi sta peggio. Che c’è chi non può nemmeno cadere dalle scale perché non ha scale, nè cucina, nè salotto, nè studio, nè bagno, nè camera da letto. Insomma: non ha una casa. Ha una tendina piazzata di fianco a una chiesa e aspetta che gli operatori della Caritas gli portino qualcosa da mangiare, bere, dormire forse. E tutto questo succede qui, a due passi da qui: a Treviso centro città. In questa Marca gioiosa dove tanti hanno una prima casa troppo grande, una seconda casa chiusa, una terza casa al mare e, magari, una macchina grande come una casa. E dove l’insidiosa scala da cui possono cadere è quella sociale.