Dal pulitzer al licenziamento. Con un colpo di timbro-clone
Autoritratto di Narciso Contreras
Il licenziamento di qualcuno, in questi tempo, non fa molta notizia.
A meno che quel qualcuno non sia Narciso Contreras, e il motivo non sia dovuto tanto all’onnipresente crisi, quanto a motivi “etici”.
Questo sì, fa notizia. E infatti ne ha fatta parecchia.
Narciso Conteras è un fotografo messicano, 39 anni, un passato di studi in filosofia e fotografia, con alle spalle cinque anni di esperienza come fotoreporter. E di successo, anche: lo scorso aprile alcune sue immagini hanno contribuito (con quelle di altri quattro colleghi) alla vittoria del premio Pulitzer da parte dell’ Associated Press (forse la più importante agenzia fotografica del mondo) per la copertura del conflitto siriano. Uno da tener da conto insomma. Uno da non licenziare, vien da pensare. E invece.
Invece qualche giorno fa vien fuori (la fonte diretta è lo stesso Contreras) che una delle fotografie che aveva scattato in Siria era stata “ritoccata”. No, non era una di quelle che avevano portato l’AP a vincere il Pulitzer, lo scatto era un altro. Molto intenso e ben riuscito. Immediata comunque la decisione di AP, che dopo aver controllato tutte le immagini del fotografo (risultato del controllo: nessun’altra foto sembra essere stata ritoccata) lo licenzia e ne rimuove tutte le fotografie dal proprio archivio.
La fotografia di Contreras ritoccata
Fin qui è storia. Poi si sono scatenati i commenti. Chi contro il fotografo, reo di aver alterato la realtà, chi (molti di più a dir il vero) contro l’agenzia, rea di aver esagerato nella reazione.
Ma cosa ha fatto in fin dei conti Contreras di così tanto grave? La sua manipolazione dell’immagine si è “semplicemente” limitata a far sparire dall’inquadratura una telecamera abbandonata a terra, operazione che nulla toglie alla veridicità del fatto, ma che ha aumentato il valore estetico dell’inquadratura. Non è di sicuro il primo: sono numerosi i casi di reporter che hanno ritoccato le proprie foto per aumentare il pathos della scena, o addirittura per crearlo dove non c’era (due esempi li potete trovare qui e qui).
Perché quindi l’AP ha deciso di tagliare tutti i ponti con Contreras? E’ stata una reazione esagerata la loro? A detta di molti, si. Io credo che semplicemente sia stata una scelta dettata dalla strenua ed estrema difesa della propria reputazione. Per un’agenzia fotografica come AP la veridicità delle fotografie che propone a tutto il mondo è un valore essenziale, irrinunciabile. In parole povere, sono loro a metterci la faccia come garanzia per le foto del loro archivio. In un mondo, quello fotografico, dove sempre più la manipolazione (leggera o spinta) sta diventando una prassi consolidata ed inizia anche ad essere accettata se non addirittura attesa dalle persone, la reputazione è tutto. Per AP è quello che può fare la differenza (anche economica) nei confronti delle altre agenzie, magari più morbide nella gestione di casi come quello di Contreras.
Santiago Lyon, vicepresidente di AP e Direttore della fotografia ha così giustificato le scelte aziendali: “AP’s reputation is paramount and we react decisively and vigorously when it is tarnished by actions in violation of our ethics code. Deliberately removing elements from our photographs is completely unacceptable and we have severed all relations with the freelance photographer in question.” (Fonte: blog sito AP)
Contreras stesso ha voluto spiegare quello che aveva fatto. “I made a horrible mistake and I accept full responsibility for it” ha detto in un’intervista al Times. “I’m ashamed about that, but I’m not ashamed about doing what I believe is my duty: showing the suffering of the Syrian people caused by the war.” E alla fine aggiunge: “This is a golden example for anyone who aspires to being a photojournalist.” “E’ stata la peggior decisione da prendere”, conclude riferendosi al fotoritocco. Il messaggio è chiaro, come era chiaro anche il destino a cui sarebbe andato incontro una volta auto-denunciatosi. Questo credo nulla tolga al valore di Contreras come fotografo, le sue fotografie parlano da sole. Certo ha pagato un prezzo molto alto per potersi mettere a posto la coscienza. Quanti altri lo avrebbero fatto? Ma credo anche che la scelta di AP sia stata la migliore per tutelare i propri interessi.
Le fotografie di Contreras che hanno permesso ad AP di vincere il Pulitzer
La questione mi ha richiamato alla mente altre due polemiche, riguardanti una sempre il mondo del fotogiornalismo, l’altra un noto premio di fotografia.
Primo caso. Il World Press Photo, noto e importante concorso dedicato al fotogiornalismo con più di mezzo secolo di storia (e reputazione). Nell’edizione 2013 il vincitore è stato Paul Hansen, con una fotografia spettacolare che ha suscitato molte polemiche per le manipolazioni che il fotografo ha (o avrebbe) fatto. In realtà, il fotografo ha “sviluppato” il file originale in modo abbastanza spinto, ma sempre entro i paletti posti dalla giuria del Concorso. Tanto che il premio non gli è stato ritirato (per approfondimenti vedi qui). Anche qui, a tener banco è il discorso della veridicità del fatto raccontato dalla fotografia.
La fotografia di Paul Hansen vincitrice del WPP 2013
Uscendo invece dal contesto fotogiornalistico puro, parliamo del premio del National Geographics, nota rivista di fotografia di viaggio e naturalistica. Nell’edizione 2013, Harry Fisch, uno dei vincitori della categoria Luoghi, è stato squalificato per aver ritoccato (rimosso con timbro clone) un sacco di plastica presente nell’inquadratura, per renderla più appetibile visivamente. Qui il discorso è un po’ diverso dai casi precedenti. Il punto focale non è tanto la veridicità del fatto accaduto, che forse non è qui così importante: il fine del concorso è infatti creare una fotografia migliore e più “bella” degli altri concorrenti. E aver alterato la fotografia può aver favorito nella vittoria Harry Fisch. Da qui la squalifica. Se si fosse accorto del sacco prima dello scatto, forse avrebbe potuto toglierlo fisicamente. La sostanza della fotografia magari non cambia, togliere il sacco prima o dopo, il senso e la bellezza della fotografia c’è (quasi) tutto.
Ma cambia il modo in cui si raggiungono i risultati: è come aver giocato sporco nei confronti di altri fotografi che non si sono permessi di farlo.
La fotografia di Harry Fisch squalificata al concorso del National Geographics. Sulla destra, a metà altezza, il sacchetto “scomparso”.
E il messaggio anche qui è chiaro: niente spazio ai furbetti. Neppure quelli più ingenui.
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