Fotoscioppare è lecito? (parte prima)
“Quella foto è sicuramente fotoscioppata”
A tirar le orecchie non è difficile sentire questo commento durante l’inaugurazione di una qualsiasi mostra fotografica, o ad una serata di proiezioni di qualche fotografo. E il dubbio sul “fino a dove” ci si possa spingere, nella elaborazione del proprio scatto digitale, spesso si insinua nella mente del fotografo che sta importando i file dalla scheda di memoria al proprio computer. La questione è complessa, e richiama nella diatriba vari aspetti legati al mondo fotografico, proponendo come attori in scena il fotografo e lo “spettatore”. Data la vastità dell’argomento, proveremo ad analizzare la questione in più momenti. Siete pronti?
Uno scatto digitale è spesso per sua natura incompleto. Necessità di una seconda fase, che possiamo chiamare di “sviluppo” o “postproduzione”, durante la quale le potenzialità delle informazioni fotografiche contenute nel nostro file fotografico vengono a galla. E’ un processo che serve a rendere più presente e reale il soggetto, soffocato in nitidezza e contrasto da un filtro che viene posto davanti al sensore della vostra macchina fotografica per impedire il classico effetto moirè. Oppure per ridurre il disturbo digitale che si crea amplificando l’esposizione ad alti ISO. O per altri motivi ancora legati al mezzo digitale. In parole povere? Significa aumentare più o meno leggermente alcuni parametri come ad esempio il contrasto, la nitidezza, la riduzione del rumore, la saturazione… regolare dei parametri per ridurre alcune aberrazioni cromatiche o deformazioni ottiche legate alla lente (leggi: obiettivo) in uso.
In pratica, si tratta di ottimizzare lo scatto e ridurre le problematiche legate al mezzo che si sta usando. Questa fase di “sviluppo “ del file può essere fatta con vari software, il più famoso (e costoso) dei quali è Adobe Photoshop, con il fratellino Lightroom, ma ne esistono molti altri, più economici o addirittura gratis. Altri nomi: Aperture di Apple, Corel Photo Paint, Adobe Photoshop Elements… Dal nome del software più blasonato deriva quindi il termine “fotoscioppare”, spesso declinato in senso negativo nei confronti del fotografo e accompagnato dal paragone con la “cara vecchia pellicola”. Sembra quasi che tutti siano convinti che ai tempi d’oro della fotografia su celluloide e affini questa fase di “sviluppo” dello scatto fotografico non fosse presente. Niente di più falso.
Una schermata di Adobe Photoshop Lightroom, software per la postproduzione fotografica (Fotografia di Andrea Armellin)
Se può essere vero in parte per le diapositive (c’è comunque pur sempre la fase di bagno chimico per rendere evidente l’immagine latente), per quel che riguarda il negativo fotografico le modifiche post-scatto erano la consuetudine. Già solo l’idea che per arrivare alla stampa finale (le classiche foto 10x15cm che vi venivano inserite nel bustone con i negativi) in pratica venisse fatta una “fotografia” al vostro negativo (secondo la regola che negativo su negativo = positivo), con tutte le variabili legate a questa operazione, può suggerirvi quanto lontano il risultato dei vostri sforzi fotografici fosse dal momento e dal concetto iniziale. Senza parlare di tutte le possibili operazioni “di fino” legate a stampe maggiori, come ad esempio 20×30, o 30×40, quelle insomma che venivano incorniciate e appese al muro. Termini come “bruciare” o “mascherare”, ben noti a chi utilizza programmi di fotoritocco, son di diretta derivazione dalla fotografia tradizionale. E non son certo pratiche recenti!
Vi riporto un aneddoto riferito ai primi anni della seconda metà dell’Ottocento (la fotografia nasce ufficialmente il 19 agosto 1839, quindi si parla di una quindicina d’anni dopo) riportato da Gisele Freund (Photographìe et société, 1974; trad it Fotografia e società, 1976 Einaudi Torino, pag 59), per rendervi l’idea di quando sia nato e quanto fosse diffuso il fotoritocco. Si parla di fotografie eseguite in uno studio fotografico: “Se qualcuno restituisce la sua fotografia e fa osservare al fotografo di avere sessant’anni e non trenta, le rughe sulla fronte e le grinze sul mento, le guance infossate e un naso schiacciato ben diverso dal naso greco che gli è stato fabbricato, è sicuro di sentirsi rispondere: Se lei voleva un ritratto somigliante doveva dirlo! Noi non potevamo indovinarlo!”
Uno studio fotografico della seconda metà del 1800: oltre alle macchine fotografiche, è possibile vedere la postazione per il fotoritocco manuale delle stampe finali (Fotografia senza firma)
La grande opportunità data ai fotografi oggigiorno è quella di ri-appropiarsi di buona parte del processo che dallo scatto arriva alla stampa finale, prima invece in parte delegato ai laboratori fotografici. Con tutte le conseguenze del caso, positive (maggior controllo e corrispondenza con il concetto iniziale) e negative (le ore “perse” davanti ad un computer per raggiungere il risultato voluto… e per imparare a usare il software!).
Sdoganato il concetto che “mettere mano” allo scatto è un processo che è sempre esistito, con buona pace dei “puristi”, resta da capire il “quanto” si possa, o si debba, andarci pesanti… …ma di questo parleremo la prossima volta.