Berengo Gardin vs Galimberti
Gianni Berengo Gardin e Maurizio Galimberti
Fotografia è realtà?
Se dovete ancora decidere qual’è la vostra personale risposta a questa domanda, potreste approfondire l’argomento studiando due approcci molto diversi al mondo fotografico, due modi di intendere la fotografia agli antipodi fra di loro: quelli di Gianni Berengo Gardin e Maurizio Galimberti.
Vi facilita il compito Civita Tre Venezia, con due mostre in contemporanea a Venezia.
Da una parte abbiamo il purista Berengo Gardin, che arriva ad annunciare in un comunicato stampa del 10 settembre 2004 una forte presa di posizione nei confronti delle immagini adulterate al computer. Tanto da apporre sul retro delle proprie fotografie il timbro “Vera fotografia. Non corretta, modifica o inventata al computer”. Dall’altra il manipolatore Galimberti, che della trasfigurazione della realtà ha fatto il suo cavallo di battaglia, con o senza sotterfugi elettronici o informatici.
Gianni Berengo Gardin, ligure, classe 1930, è forse il fotografo italiano vivente più conosciuto e apprezzato all’estero. E’ rappresentato dall’Agenzia Contrasto. Berengo Gardin è uno di quei fotografi che ti vien voglia di definire classico, perlomeno a primo acchito. Fotografa solo in bianco e nero, oggi come allora. Conosce grigi e neri come le sue tasche, tanto che Leica Camera gli ha chiesto lo scorso anno di provare in anteprima un prototipo della nuova Leica M Monochrom, la prima macchina fotografica digitale della casa di Leitz dedicata unicamente al bianco e nero. Oggi come allora Berengo Gardin riesce a cogliere e restituire gli aspetti più densi e pregnanti della realtà, come forse solo Cartier Bresson sapeva fare, con uno sguardo divertito e ironico, attento ai particolari e mai banale.
Una delle cose che forse colpisce di più passeggiando sui diversi piani della Casa dei Tre Oci alla Giudecca, tra le sue 130 fotografie esposte, è l’unitarietà di stile che lega a filo doppio tutte le sue opere, tanto quasi da esser costretti a leggere le didascalie per capire se la foto è odierna, o di trent’anni fa. Complice il bianconero, sicuro. Ma segno anche di una profonda coerenza con il suo modo di vedere il mondo. Quando in occasione del test sulla Monochrom Leica gli chiese “Gianni, perché hai cambiato idea e deciso di lavorare con una fotocamera digitale?”, Berengo Gardin rispose: “Perché solo gli imbecilli non cambiano opinione”.
Dall’altra parte abbiamo Maurizio Galimberti, classe 1956, di Como. Autodefinitosi Instant Artist, è conosciuto dal grande pubblico principalmente per i suoi Mosaici, opere che sono una sorta di collage fotografico ottenuto affiancando un certo numero di Polaroid scattate allo stesso soggetto. Galimberti ha fatto sua e sviluppato una tecnica introdotta e sperimentata da David Hokney, geniale pittore/incisore/fotografo inglese, classe 1937. Una parte delle opere visibili a Venezia presso Palazzo Franchetti (vicino al ponte dell’Accademia, anche sede dello IED) è dedicata proprio ai Mosaici, in grande formato, che fanno dell’istantaneità e della visione accostata il loro leit motiv. Il risultato è un’opera dai sapori cubisti che condensa varie sfaccettature dello stesso soggetto in un insieme di istanti vicini tra loro ma non coincidenti.
L’altra parte della mostra è invece dedicata ai Ready-made, variegate manipolazioni di Polaroid che strizzano l’occhio all’omonimo concetto duchampiano e alterano la realtà in funzione di una personale visione. Meno immediate dei Mosaici, chiedono una riflessione al visitatore che va al di la del semplice piacere estetico.
A suggellare l’operazione, se Berengo Gardin poneva un timbro sul retro delle fotografie per attestarne la “genuinità” e l’aderenza al reale, Galimberti appone un vistoso marchio direttamente sulla superficie dell’opera, per sottolinearne la personale presa di possesso. La sua realtà.
Due fotografi, due visioni, due percorsi. Avete tempo fino al 12 maggio per confrontarli.
MATERIALI
Qui i dettagli per le mostre | Un’interessante intervista a Berengo Gardin | Il sito di Maurizio Galimberti