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[Home Fotografia Fotoscioppare è lecito? (parte II): una questione di fiducia]
Lievito Fotografico
Fotografia
[ 11/12/2012 di Andrea Armellin 0 Commenti ]

Fotoscioppare è lecito? (parte II): una questione di fiducia

Ti interessa l'argomento: trovi la prima parte del post qui

Spesso ai miei corsi di fotografia mi sento chiedere se si possa o meno “ritoccare” una fotografia. Se sia lecito. Se è permesso.

Come se io avessi l’autorità di rilasciare un placet che metta l’animo in pace sulla questione. Una questione che scotta, perché fa riferimento diretto a un’altra vecchia discussione fotografica, che vede contrapposti da un lato i sostenitori della fotografia come rappresentazione della realtà, dall’altro i fautori della fotografia come interpretazione.

 

Facciamo un passo indietro, da fotografi (intesi come persone che premono un pulsante). Mettiamoci nei panni di chi guarda una nostra fotografia.

Il rapporto che si instaura tra l’osservatore e il fotografo, mediato dalla fotografia che il primo sta legando, è un filo sottile. Che si nutre di meraviglia, curiosità, cultura… e fiducia. Già, fiducia. Il nesso della questione credo sia qui, in questo rapporto fiduciario che spinge l’osservatore a ritenere in una certa misura “reale” quello che vede nella fotografia davanti a se. Maggiore è la “pretesa di realtà” della fotografia, maggiore la responsabilità del fotografo verso l’osservatore. Ok, urge un esempio.

Amedeo Modigliani, Nudo sdraiato, 1917 

 

Se un fotografo è chiamato a riprodurre un’opera d’arte, un quadro di Modigliani, ad esempio, l’osservatore si aspetta che quello che vede a monitor, o stampato su un catalogo (o rivista, o cartolina…) sia uguale all’originale. Che abbia gli stessi colori. Le stesse sfumature. La stessa atmosfera. Ignoriamo per un momento le difficoltà tecniche di resa cromatica fedele su vari medium: il fotografo farà comunque tutto quanto è in suo possesso per riprodurre esattamente tutte le caratteristiche visive del quadro.

 

Lo stesso vale per fotografie in cui la fedeltà al reale abbia sia un valore imprescindibile: quindi foto di catalogazione, ad esempio. O di reportage.

 

E se invece il soggetto avesse caratteristiche diverse? Se il soggetto fosse una persona? O un paesaggio? Qui il discorso si fa più altalenante. Anche la fotografia di ritratto ha un forte richiamo alla realtà, ma varia (e di molto) in base al fine. Qual è lo scopo del ritratto? Se è pensato per essere inserito in un passaporto, l’attinenza alla realtà dev’essere massima. Se invece si tratta di una interpretazione, tutto cambia. La persona addetta al controllo dei passaporti all’aeroporto si aspetta che la foto corrisponda alla persona che ha davanti. Se non è convinto della corrispondenza, scattano i controlli. Se invece mi rivolgo ad esempio a Maurizio Galimberti per avere un mio ritratto, tutto mi aspetto ma non che sia convenzionale.

Maurizio Galimberti, Johnny Depp, 2003 

 

E quindi?

Quindi dipende. Se l’osservatore guarda una fotografia e in buona fede crede che il lupo che salta la staccionata di notte sia vero in tutto e per tutto e che sia uno scatto “rubato” , e poi scopre che in realtà il lupo è addomesticato (storia reale: leggila qui), e addestrato magari per fare e rifare quel salto fino ad ottenere quello perfetto, ecco, quello che si spezza è quel filo che lo lega al fotografo. E che sarà difficile riannodare. 

 

E che dire di quei colori fantastici che si vedono in certe foto di paesaggio? Sono reali o meno? Sono stati “fotoscioppati”? E quanto lo sono stati?

Ne parliamo la prossima volta.

 

PS: che ne dite dei colori della fotografia qui sotto?

Sono “veri”? C'è fotoritocco?

Andrea Armellin, Alba, 2007 

Amedeo Modigliani Fotoritocco Maurizio Galimberti Postproduzione fotografica
Fotoscioppare è lecito? (parte prima)
Fotoscioppare è lecito? (parte III): ma quei colori sono veri?

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Andrea Armellin

Fotografo e grafico. Spande la fotografia a piene mani ovunque gli riesca.

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