Il Patronimico
Chiunque abbia letto anche solo alcuni dei capolavori della letteratura russa si sarà sicuramente imbattuto in questa forma espressiva onomastica che svolge un ruolo fondamentale nelle relazioni sociali russe al pari di nome e cognome.
Nelle repubbliche ex-sovietiche, ma anche in altri paesi come la Turchia o l’Islanda, il patronimico infatti ricopre un ruolo fondamentale nell’identità di qualsiasi persona ed è parte integrante del nome. Esso determina il vincolo paterno di ogni individuo e nei paesi russofoni si forma declinando il nome del padre con le desinenze “-vič” (-вич) per gli uomini e “-vna” (-вна) per le donne. La quasi totalità dei cittadini russi ha pertanto un cognome, un nome ed un patronimico e proprio in questa sequenza C-N-P (ФИО) essi vengono richiesti od indicati nei documenti ufficiali.
Prendiamo ad esempio un volto noto contemporaneo, l’attuale presidente della Federazione Russa che si chiama Putin Vladimir Vladimirovich (Путин Владимир Владимирович), dal suo patronimico scopriamo che il padre si chiama anch’esso Vladimir e che entrambi portano pertanto lo stesso nome. Può sembrare bizzarro per la cultura italiana chiamare un figlio come il padre (per noi è molto più frequente chiamare un figlio col nome del nonno paterno) ma nelle repubbliche ex-sovietiche tale cosa non è poi così anomala seppur negli ultimi anni sempre più rara .
Il patronimico ha radici profonde nella cultura russa. Parlando di letteratura, quasi tutti i personaggi nei romanzi russi più conosciuti si rivolgono l’un l’altro con il patronimico. Nikolaj Gogol, ad esempio, ha intitolato una sua novella “Storia del litigio tra Ivan Ivanovich e Ivan Nikiforovich”, nel romanzo di Fëdor Dostoevskij “Il giocatore”, il nome della protagonista, Polina Aleksàndrovna indica che il padre si chiamava Aleksandr, nel romanzo storico di Lev Tolstoj “Guerra e pace” il nome del Principe Andrej Nikolaevič Bolkonskij, indica che il padre si chiamava Nikolaj.
I casi in cui una persona russa non ha un patronimico ufficiale sono molto rari e sono quasi esclusivamente imputabili ad origini straniere. I miei figli ne sono un esempio. Pur essendo loro cittadini russi rappresentano quella minoranza di persone prive di patronimico nei documenti d’identità. In questi casi infatti, l’eccezione dettata dall’origine straniera del padre e conseguentemente, la difficile e bizzarra declinazione russa di un nome di lingua straniera, ripone nei genitori la facoltà di non attribuire il patronimico all’atto di registrare la nascita del figlio. Chiamandomi io Manuel, e chiamandosi mio figlio Matteo, a quest’ultimo avrebbe dovuto attribuirsi il patronimico declinato al maschile del mio nome, divenendo quindi Matteo Manuelvich. Medesima situazione alla nascita di mia figlia Arianna, alla quale avrebbe dovuto conferirsi il patronimico declinato al femminile divenendo quindi Arianna Manuelevna.
Non tutti i genitori stranieri o con nomi stranieri si avvalgono però della facoltà di non assegnare ai propri figli il patronimico, con risultati a volte a mio avviso davvero poco desiderabili. Ricordo di un giorno in sala d’aspetto al consolato italiano a Mosca e di aver letto in bacheca gli atti di nascita ivi registrati, in uno si ufficializzava la venuta al mondo di tale Gianbattistovna. Sulle origini italiane del padre non vi sono dubbi, sull’opportunità di registrarla con il patronimico pure.
Ma quali sono le ragioni socio-culturali dell’uso del patronimico?
Innanzitutto vi è un motivo pratico, in Russia moltissime persone portano cognomi e nomi uguali, perciò solo il nome e cognome non bastano per identificare una persona in modo univoco. Poi vi è una ragione culturale, in Italia nei rapporti formali si usa il “lei” ed il cognome, mentre in Russia, nei rapporti di tipo formale, le persone si rivolgono dandosi del “voi” e chiamandosi l’un l’altro con il loro nome e patronimico, omettendo il cognome. Se si vuole mostrare rispetto durante una conversazione, nella quale in italiano dareste del lei, è necessario usare il patronimico. Questo vale in tutti gli ambienti in cui è richiesto un registro formale e soprattutto quando ci si rivolge a degli anziani.
Paradossalmente, il patronimico, che è appunto simbolo di formalità e rispetto, può avere anche un altro uso, tra amici. Se usato infatti singolarmente, senza ne nome ne cognome, diviene all’opposto quasi un vezzeggiativo od un soprannome. Poniamo ad esempio un venerdì sera dopo il lavoro, due colleghi di mezza età Andrey Ivanovich e Alexander Sergeevich allentano la tensione di una settimana di lavoro in un pub. Probabilmente dopo una mezz’ora si chiamerebbero “Ivanovich” e “Sergeevich”, e questo registro non è assolutamente formale ma al contrario amichevole.
Per capire quanto sia importante l’uso del patronimico nelle relazioni formali vi racconto un ulteriore aneddoto. Un giorno del mio primissimo periodo di vita in Russia, presentandomi ad alcuni parenti locali dei miei figli e senza al contempo palesare alcun patronimico motivandone per i motivi di cui vi ho descritto prima l’assenza, loro sì sorpresero e mi chiesero stupiti come si sarebbero dovuti rivolgere a me in ambiente lavorativo colleghi e subalterni. “Semplicemente col nome” – risposi. Ma questa spiegazione non sciolse lo stupore dai loro volti.
Parola di Manuel Marcovich
Bravissimo Manuel Marcovich! Benvenuto su OggiTreviso 😉
Grazie
чудесно
Спасибо
Buongiorno e Benvenuto Manuel! 🙂
Spero di leggerti spesso con altre curiose ed interessanti osservazione circa questo bellissimo ed intrigante “paese”
Un caro saluto,
Francesca
Certamente
Noi però usiamo spessissimo, al posto dell’ amichevole/famigliare patronimico, una quantità di varianti in genere abbreviate del nome. Il mio “Michele” ad es. annovera (scrivo la pronuncia): Maich -Miche- Mik- Miki-Maicol e (almeno da bambino) Michelino. Aggiungessero Francescovich non mi spiacerebbe, comunque!
Lei in Russia sarebbe Michele Francescovich – Михаил Франческович.