Cosa ti sei messo ai piedi?
Ho aperto questo post per parlare del papa. Ma ho l’impressione che mi concentrerò sulle scarpe (rotte) di mio figlio.
Però, prima di affrontare l’argomento che interessa tutti (la salubrità dei piedi di un quindicenne immagino sia una priorità collettiva), informo i mie due milioni* di lettori che il papa ha detto sì. Ha detto sì (almeno qualche volta, almeno in qualche caso) al preservativo. Ha detto sì alle moschee in Occidente. Ha detto sì (almeno in qualche caso, almeno qualche volta) al burka. Ha detto no no no e ancora no alle donne-sacerdote-uffa.
A me questa cosa del papa che promuove e boccia e che dice sì e no a questo o a quello interessa moltissimo. Mi interessa perché, comunque la si pensi, viviamo in uno Stato laico fino a un certo segno. In uno Stato dove la Chiesa ha casa, visto che la Storia l’abbiamo (ri)gettata tra i rifiuti che ammorbano nonsolonapoli. Viviamo in uno Stato che – in un’analisi illogica – sembra un complemento di stato in fuoriluogo, una frase nominale senza predicato, oppure una copula. E dunque che il papa dica la sua mi sta bene. Sopratutto se ciò che dice contraddice quanto aveva detto in precedenza.
Se non ricordo male infatti Benedetto XVI non molto tempo fa aveva messo all’indice (in senso metaforico) i profilattici. Aveva detto che neppure in Africa dovevano circolare. Che erano oggetti hatù, anzi: tabù. Ora ha cambiato idea: a volte i preservativi servono: possono essere usati come guarnizione su un rubinetto che gocciola o anche in modo più appropriato (vi risparmio l’esempio). Anche il burka, scondo il pontefice, potrebbe passare. In fondo è abbastanza coprente da non indurre in tentazione, abbastanza tradizionale da sfidare le mode, abbastanza simile a un abito talare. Quello che non capisco è se in fatto di moda (e il fatto che calzi scarpe Prada non lo avvantaggia) il papa sia preparato.
Voglio dire: se l’abito non fa il monaco, magari è perché il sarto ha perso di professionalità e l’ha tagliato sghembo. A volte, certi vestiti che proprio non s’adattano a un uomo, stanno benissimo ad un altro. O a un’altra. Insomma: perché il papa si ostina a pensare che una donna non possa essere un buon sacerdote? io sono sicura che una donna potrebbe essere un’ottima misiionaria della parola di Dio. Io, quanto meno, la metterei alla prova. Le farei fare un tirocinio. E magari, boh, un esame di idoneità. Io le quote rosa (che è un colore che mi piace pochetto: preferisco il blu notte) le farei arrivare sino al transetto, al coro, all’abside. Le infilerei tra pilastri e navate, rosoni e portali. Magari, in rosa, la Chiesa starebbe pure bene. Magari è un colore che le donerebbe. Mah! Dove volevo arrivare? ah sì: alle scarpe di mio figlio. Le Vans: sono rotte, scollate, aperte in punta come una bocca affamata. Sono pure bagnate perché hanno assorbito le pozzanghere di mezza città. Mio figlio, a volte, mi fa notare che non ha un paio di scarpe di (ri)cambio, che domani o dopo deve fare la campestre e dubita di riuscire a correre con le scarpe che perdono i pezzi.
Io? io mi faccio prendere dai sensi di colpa. Mi sento una madre indegna. Una di quelle che non si preoccupa della salute dei piedi del figlio. Così passo le ore a cercare di convincerlo a comprarsi un paio di scarpe nuove. Senza riuscirci. Mio figlio non vuole un paio di scarpe nuove. Vuole solo un po’ di attenzione. Prima di uscire con gli amici e dimenticare che le sue scarpe non respirano. Tossiscono.
*due milioni di lettori: cifra arrotondata per effetto.