Avremo il modo di ritrovare il nostro palloncino?
Sto ripensando alla scorsa estate e anche se questa non è ancora finita, oggi, che è il 22 agosto, possiamo già fare una sorta di “comparazione di dati”, proviamo a fare questo esercizio assieme confrontando i due periodi:
Test: Estate 2019 vs Estate 2020
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Quante giornate ho trascorso in compagnia con più di quattro persone?
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Quante persone ho abbracciato?
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Quanti amici ho invitato a casa mia (e quanti mi hanno invitato a casa loro)?
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Quante occasioni ho avuto per socializzare?
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Quante nuove persone ho conosciuto?
Somma i numeri delle due classifiche (1.giornate + 2.persone + 3.amici + 4.occasioni + 5.nuove persone) e scopri il delta! Temo che il risultato ti faccia rimanere di stucco.
Ma è tutta colpa del Covid-19?
In teoria siamo nella fase 3, con la libera circolazione tra le regioni, come nel 2019, senza altre grosse limitazioni, a parte la chiusura delle discoteche e la stretta sulla movida…
Non voglio entrare nel balletto dei numeri dei contagiati, dei sintomatici o degli asintomatici e nemmeno voglio esprimere un’idea “negazionista”, ma di fatto i mass media in questi mesi ci hanno disinformato con titoli forvianti, adatti agli strilloni pronti a vender copie ad ogni angolo di strada e tutti noi ci abbiamo messo del nostro creando delle barriere sociali con il prossimo.
Proprio così: la comunicazione di massa ha usato, sin dall’inizio della pandemia, una serie di termini impropri (lo avrà fatto di proposito?) e l’opinione pubblica ha preferito, per mesi, lasciarsi trasportare dall’onda.
L’ho fatto anch’io senza rendermene conto, mi son fatto condizionare dal flusso delle emozioni vissute davanti ai telegiornali, piuttosto che ragionare con la mia testa.
Il ritorno alla (sperata) normalità
Mi ricordo la prima uscita in compagnia lo scorso maggio, appena ci è stato consentito di incontrare gli amici, ci siamo trovati in una decina in un bel posto all’aperto, dopo quei due mesi di clausura.
Siamo arrivati tutti con la nostra mascherina, non ci siamo né dati la mano, né abbracciati, ma eravamo tanto contenti di rivederci!
In quella circostanza mi sono rivolto agli amici, lagnando la costrizione del “distanziamento sociale” che anche in quell’occasione ci impediva di stare vicini allo stesso tavolo e la mia amica Susanna subito mi riprese dicendomi: “Daniele, il nostro non è un distanziamento sociale, è semplicemente un distanziamento fisico!”.
Al momento ho accolto quell’esclamazione sorridendo, ma quella battuta nei giorni successivi mi ha fatto riflettere e mi sono chiesto: “Perché noi italiani, che abbiamo un vocabolario così ricco ed espressivo, abbiamo sbagliato a forgiare l’espressione distanziamento sociale?”
Di fatto non ci è stato impedito di comunicare, di telefonare e di fare delle chat, anzi in quelle settimane di quarantena molti di noi hanno imparato ad usare i mezzi informatici per incontrarsi virtualmente (ed è stato un proliferare di videoconferenze e webinar).
Perché a distanza di mesi tutti i mezzi di comunicazione continuano a parlare di “distanziamento sociale”, mentre quello che necessita per contrastare il virus è semplicemente il “distanziamento fisico”?
Ritroveremo la nostra felicità?
Con gli allarmi del contagio tuttora in corso, dinanzi ad un autunno che si prefigura incerto con lo spettro di un nuovo lockdown, penso che tutti quanti abbiamo il bisogno di acquisire e dare fiducia nei riguardi del prossimo e colgo l’occasione per scrivere questa bella storiella che ho trovato sul web:
In una scuola portarono dei palloncini. Ne fu dato uno ad ogni studente, fu chiesto loro di gonfiarlo e di scriverci sopra il proprio nome e la classe, prima di buttarlo nel corridoio.
Poi i professori, nei corridoi, mischiarono tutti i palloni.
Ai ragazzi furono dati cinque minuti per ritrovare ognuno il proprio palloncino. Malgrado una ricerca frenetica, nessuno trovò il suo pallone.
Al quel punto i professori dissero agli allievi di prendere il primo palloncino che gli fosse capitato e di consegnarlo allo studente il cui nome era scritto sopra.
Nel giro di cinque minuti ognuno aveva riavuto il proprio pallone.
I professori dissero ai ragazzi: “Questi palloncini sono come la felicità. Non la troveremo mai se ognuno cerca la propria. Se, però, ci preoccupiamo di quella altrui… troveremo anche la nostra.”
Manifesto l’augurio di affrontare il prossimo autunno “socialmente uniti” e spero di tornare ad abbracciare serenamente tutti i miei amici.
Daniele Pezzali consulente in Procurement & ICT (visita: www.danielepezzali.com)
Non so quanto sia realistico dare per scontato che la maggior parte delle persone interpreti l’espressione “distanziamento sociale” come un invito, persino perentorio, a “non socializzare”.
Capisco senz’altro il senso del discorso, ma mi sembra più una interpretazione da… addetti ai lavori, ossia da persone che hanno una certa consuetudine con specifiche discipline (sociologia, comunicazione ecc.).
Sbaglierò, ma ho l’impressione che se anche quell’espressione fosse stata sostituita, fin dall’inizio, con quella qui suggerita (con “fisico” al posto di “sociale”), l’impatto complessivo della faccenda non sarebbe cambiato gran che.
Grazie Armando dell’intervento. Forse è vero la mia riflessione è molto “sottile”, io non sono uno psicologo, però associo l’uso (a mio parere errato) dell’espressione “distanziamento sociale” come una sorta di messaggio subliminale. Ha presente quei fotogrammi, consciamente impercettibili, inseriti in una pellicola di un film…?
Buona giornata.
Nota storica sui palloncini: la Cpg dei 160 Alpini cui venni assegnato passò tra l’altro dal sarto che doveva personalizzare la uniforme, soprattutto le braghe. Ognuno di noi scrisse il proprio nome e lo infilò sulla tasca delle medesime. Una volta acconciate venimmo adunati e ognuno pescò dal cesto un capo e vi lesse il nome. Poi uno a caso venne chiamato fuori schieramento e pronunciò il primo nome, costui uscí e chiamò a sua volta il nome delle braghe che aveva pescato . In pochi minuti ognuno ebbe la sua divisa. Quello dei palloncini aveva fatto la naja?
Io la naja l’ho fatta e ne parlo nel mio libro “Lettere di gioventù” 🙂
Suo figlio, caro Daniel, come altri mentre altri sfidano la paura con prepotenza, una specie di mainstream, opponendosi a una situazione che ha assunto toni e soluzioni contrastanti strumentalli.. Confusione i Italia. Vita o morte, noi italiani poco inclini a considerare la morte un fatto irreversibile, salvo nell’inno di Mameli, con cui si convive per tutta una vita. Ecco convivere con il Covid che poi, all’apparire del vaccino, ci si dividerà fra chi lo utilizzerà e chi no in nome della libertà.
Ma cos’è la libertà?
Nelle famiglie che conosco da mesi si parla anche di altro, si pongono problemi del cosa fare dopo e come cercare di risolverli, dando ai giovani motivi di riflessione e obiettivi per stimolare il coraggio di affrontare il futuro partendo dall’oggi e non da ieri. Insomma uscire dal generico, dalla filosofia da una attesa del messia, dai palloncini, far capire che questa loro generazione deve, ha a suo carico, trovare motivazioni culturali strumenti economici, il lavoro è già cambiato, diversi dai nostri pur senza dimenticare le nostre esperienze che si riassumono nel “combattere” per un mondo diverso e per loro, migliore. Noi abbiamo combattuto la povertà.
Draghi ha richiamato nei giorni scorsi la affermazione di Keynes secondo il quale in presenza di cambiamenti fattuali occorrono cambiamenti del pensiero e dell’azione.
Non aver paura di sbagliare perché è sbagliando che si fa esperienza per sbagliare meno. Fare tesoro delle esperienze dei vecchi, la storia.
Parliamo con i figli di problemi veri, facciamo capire che il Covid, ci conviveremo per lungo tempo, è strumentalizzato oggi da politicanti in cerca di consensi elettorali, per fini di una Politica che non c’è. Che il domani non è fatto di ammortizzatori sociali. Che la Politica è una cosa seria e che la riduzione dei parlamentari, p.es. non risolve il problema di domani dei giovani. I problemi veri sono altri che non indico per “attinenza” Ma lei ha un altro mio post in attesa di pubblicazione, ma attinente a quanto scrivo qui. Che fa riflettere sui compiti che i giovani dovranno affrontare.
Buon giorno, faccio il test che mi hai proposto e inversamente a quanto credevo per me questo periodo non è stato assolutamente negativo o isolato, anzi credo di avere frequentato e conosciuto più persone in questi ultimi 6 mesi che negli anni scorsi, e possiamo dire che abbiamo avuto molti ospiti a cena,.
Si l’anno scorso abbiamo fatto la ‘vacanza importante all’estero ma quest’anno non mi è mancato niente, anzi per me è un an o molto importante per la mia crescita personale, ( ho frequentato un corso per diventare operatore olistico) dove ho fatto tante nuove conoscenze, e che ho terminato dopo il lookdown, Questo tipo di formazione spirituale che seguo sa un Po di anni mi ha dato la serenità e la coscienza di capire, che tanto allarmismo e frutto di manipolazione.
Dunque quando si capisce questo bisogna applicare il giusto distacco e vivere la propria vita serenamente, trasmettendo pace.
L’unica cosa che mi infastidisce e preoccupa è il sistema scolastico, che vogliono per forza ” militarizzare” avendo un figlio che fa le superiori, mi preoccupa quello che il sistema scolastico sta organizzando! Vorrei quasi tenerlo a casa! Ma non è una cosa sensata, sicuramente gli ibsegnero’ a respirare con la mascherina sotto il naso, ma preferirei che si effettuare una bella rivolta verso sull’organizzazione!
Volendo fare una valutazione io credo che questo “virus” abbia portato molta gente a fare dei salti di coscienza e chi era pronto non lo ha vissuto solo come un periodo penalizzante m, ma come un periodo in cui si è messo alla prova.
Statisticamente e provato che ora ha una bassissima oggettività, ma chi si sente meglio a vivere nella paura è libero di complicarsi la vita!
Io vivo serena!
Bene Mascia, sono felice che tu abbia preso anche gli elementi negativi di questo cambiamento per migliorare te stessa e l’ambiente in cui vivi. Anch’io mi sono barcamenato abbastanza bene (ma avrei potuto fare molto di più senza lockdown), il problema più grosso riguarda i ragazzi e lo vedo quotidianamente con i miei figli… Grazie per la partecipazione al blog e buona domenica!
L’ informazione ha drammaticamente ragione purtroppo. Il distanziamento fisico si traduce in distanziamento sociale, come lo producomo disposizioni quali il divieto di assembramento, la mascherina e tante manifestazioni di limitazione della libertà che davamo per scontata. Il web non può surrogare queste libertà, anzi le distorce e vizia ancor di piû . Questo avrà immediati effetti pesanti e del tutto negativi sull’ individuo e la società. Ma siamo ottimisti nel lungo periodo, ovviamente…
Il problema è il modo di veicolare la comunicazione, il termine “distanziamento sociale” a mio parere è sbagliato, continuare ad usare quel termine è come dare un messaggio subliminale (inconscio) alla gente del tipo “non devi socializzare”.
Per il virus è sufficiente stare ad un metro di distanza ed indossare la mascherina nei posti al chiuso, questo è “distanziamento fisico” ed il messaggio è “si deve stare a distanza e nello stesso tempo si socializza”.
Forse per gli adulti questo concetto è abbastanza chiaro, ma per i bambini e gli adolescenti il messaggio percepito è di non avere contatti… quindi mio figlio, che ha 14 anni, mi dice candidamente “preferisco stare a casa così non mi succede nulla…”. Risultato: ha trascorso un’estate quasi in solitudine.