“Il giorno del Pezzali” Autore Daniele Pezzali, racconto tratto da “Lettere di gioventù”
“Stamattina fa freddo anche se il sole sembra intenzionato a forare la coltre di nebbia che avvolge Milano. A scuola oggi sono previste alcune ore di supplenza perché ben due professori sono a casa con l’influenza, quindi ho deciso di andare a timbrare il cartellino rosa all’ufficio di collocamento.
Come ogni giorno mi alzo alla stessa ora, faccio una veloce colazione, prendo le 300 lire del giornale e saluto mio padre avvisandolo del mio cambio di programma per la mattinata e che sarei comunque tornato al solito orario.
Prendo l’autobus e, al Castello Sforzesco, la metropolitana. In quaranta minuti sono alla fermata di “Pagano”, esco dalla stazione della metro e mi incammino verso l’ufficio di collocamento. Ho con me il giornale, so già che dovrò fare parecchia coda e sono contento di trascorrere il tempo con il mio quotidiano preferito.
La via privata Duccio di Boninsegna sarebbe stata una via sconosciuta nella grande Milano. È infatti una piccola via, poco lontana dal centro cittadino, che definirei “insignificante”, priva di negozi e di particolari attrattive, che però era nota a tutti i milanesi perché lì si trovava lo sportello dell’ufficio di collocamento.
La fila a volte è estenuante e dura ore, stamattina penso di essere stato fortunato, se tutto va bene in un’ora me la cavo.
È novembre, all’interno degli uffici non c’è abbastanza posto per contenere tutte le persone e la coda dei disoccupati con il tesserino rosa in mano si sviluppa all’esterno dell’edificio lungo la piccola via, al freddo e alle intemperie.
Sono giorni che la città è avvolta dalla nebbia e l’umidità entra nelle ossa.
Qui in attesa sul marciapiede, come al solito, io sono il più giovane, vedo attorno a me tante facce disperate, visi con la barba lunga e gli occhi rossi…
Fa freddo! A nessuno interessa prendersi cura della gente qui in fila, non ha importanza se piove, se c’è il ghiaccio o se batte a picco il sole di luglio… In Via Duccio di Boninsegna la gente è mal vestita, rassegnata, con l’umore nero e la sigaretta in mano. I disoccupati rimangono per ore fermi in piedi, silenziosi, con la testa china.
In ognuno di loro c’è la speranza che quella lunga attesa venga ripagata da un posto di lavoro, ma più forte è la consapevolezza di ricevere sulla tessera l’ennesimo timbro da collezionare!
Questa è la Milano che soffre, lontana da quella “Milano da bere” pubblicizzata in televisione dalle note case di alcolici!
Molti vengono dal sud, nessuno ha voglia di parlare. Io mi ritengo fortunato, la mia missione è solo quella di far apporre sul tesserino il timbro mensile, non bado molto alle persone che mi circondano, passo dopo passo procedo avvolto nel mio cappotto e continuo a leggere il Corriere della Sera anche se le mie mani sono intirizzite per il freddo.
Poi arriva il momento di parlare con l’impiegato dello sportello, dichiaro che non ho intenzione di vagliare le proposte di lavoro affisse e chiedo di apporre il timbro sul tesserino di disoccupazione per avanzare di graduatoria.
Finalmente quel timbro mette fine a quel supplizio di desolazione che sono costretto a vivere ogni mese e mi dà il nulla osta per andare a passeggiare per le vie del centro, prima di tornare a casa.
Sono le 10 del mattino ed il mio rito dopo “la missione del collocamento” è quello di recarmi in Piazza del Duomo e di andare a mangiare uno di quei buonissimi panzerotti che sfornano in un panificio pugliese, proprio dietro ai grandi magazzini La Rinascente.
È bellissimo passeggiare alla mattina qui sul sagrato del Duomo, la piazza è attraversata di continuo da studenti che, per mille ragioni, hanno deciso di marinare la scuola ed in quella atmosfera di complicità è facilissimo conoscere nuove persone.
Infatti, divorato il panzerotto che mi ha per fortuna scaldato lo stomaco, vedo due ragazze sedute sui gradini del Duomo, hanno con sé i libri di scuola ed una di loro sta parlando animatamente, gesticola, ride e sono attratto da quel suo sorriso.
“Buongiorno “bigione” ditemi un po’: chi vi firma la giustificazione per entrare in classe domattina?”
Pronuncio quella frase con enfasi, con un grande sorriso e gli occhi raggianti.
Siamo più o meno coetanei, io sono solo e loro sono in due ed è facile, in quelle circostanze, approcciare due ragazze se si sfodera un po’ di simpatia!
Se fosse una ragazza da sola, magari avrebbe timore a rispondermi e molto probabilmente mi eviterebbe, se fossero in tre o quattro rischierei di essere preso in giro e schernito, ma in questo caso se riesco ad attirare la loro attenzione, allora amicizia è fatta!
Mi presento: “Sono Daniele!” le ragazze mi porgono la mano: “Io Paola” e “Piacere, Stefania”.
Così cominciamo a parlare, chiedo loro da che scuola provengono, commentiamo i nostri istituti, accenniamo alle materie che accomunano i nostri corsi di studio…
Poco dopo Paola e Stefania notano che non ho libri con me, io indico il Corriere della Sera e dico loro che quello è il mio testo di studio!
Mi piace rompere il ghiaccio, cominciare a chiacchierare e talvolta a provocare.
La mia curiosità di conoscere nuove persone è sempre dirompente, ho sempre la battuta pronta con una buona dose di entusiasmo e adoro l’ironia, con questa formula spesso trovo apertura da parte dei miei nuovi interlocutori.
Noto con piacere che Stefania è interessata al mio approccio, anche se in quelle prime battute parlo di argomenti scontati. Vedo i suoi occhi brillare, poi la sua attenzione cade sul Corriere della Sera e mi chiede se veramente lo leggo tutti i giorni. Le rispondo che seguo tutte le notizie, specie quelle di cronaca estera, apro il giornale ed alla pagina degli esteri spicca un articolo e nel titolo c’è quella parola, che sempre di più risuona nei telegiornali del momento: “Solidarnosc”.
Leggo l’occhiello e le prime righe dell’articolo (che avevo già letto precedentemente) e poi spiego loro che in Polonia sta accadendo qualcosa di grande, di una portata storica!
Dico che seguo da mesi le notizie che ci giungono da quel Paese comunista, satellite dell’Unione Sovietica e con una breve sintesi spiego loro che i sindacati a Danzica hanno dato vita ad un movimento pacifico chiamato Solidarnosc che si propone di dare vita ad una nuova democrazia basata sui valori cattolici e sul lavoro…
Aggiungo che tutto questo non assumerebbe così tanta importanza se non fosse che, per la prima volta nella storia, sia stato eletto un Papa polacco e che la Polonia è un paese con la maggioranza della popolazione di religione Cattolica…
Vedo dopo qualche minuto che le due ragazze non mi seguono più nel ragionamento, ma hanno ragione! Oggi per noi tre è un giorno di festa, abbiamo marinato la scuola e bisogna essere allegri!
Passeggiamo fino all’ora di pranzo, il tempo trascorre veloce tra una risata e l’altra…
Stefania è tanto carina, ha un anno in più di me e alla scuola professionale frequenta il corso di Segretaria d’Azienda.
Mi piacerebbe tanto rivederla e conoscerla meglio!
Mi dicono che devono rincasare, chiedo loro il numero di telefono, ma è una richiesta vana, al tempo non esistevano i cellulari ed il telefono di casa era un apparecchio fissato alla parete, o posto su un mobile in soggiorno e la privacy in famiglia per una ragazza minorenne era un concetto astratto!
Diedi loro il mio numero con la speranza di ricevere la loro chiamata. Mi dissero che abitavano lungo la circonvallazione esterna della città e che avrebbero preso la metro e poi il filobus.
Anche se io abitavo quasi dalla parte opposta, pensai che con il filobus, che percorre tutta la circonvallazione, sarei comunque arrivato a casa mia accompagnando prima loro. Decisi quindi di seguirle per stare un po’ di più assieme.
Non erano le prime ragazze che conoscevo in quella maniera ed era molto probabile che l’epilogo sarebbe stato quello di un saluto accompagnato dalla promessa vana di una telefonata, quindi avevo messo in conto che, forse, non le avrei mai più riviste… Ma Stefania mi piaceva proprio! Non volevo perderla!
Avevo letto sulla copertina dei sui suoi libri il suo cognome e se avessi capito dove abitava l’avrei rintracciata in qualche maniera con l’elenco telefonico.
Avevo sedici anni e non ero di certo uno stalker, ma un po’ di ingegno e di tenacia potevano fare al caso mio perché gli occhi di Stefania avevano brillato tutta la mattina, facendo trasparire interesse nei miei confronti.
Stefania mi dice che alla prossima fermata deve scendere, siamo in Viale Campania, le chiedo se abita sul viale principale e mi risponde di sì a pochi metri dalla fermata, ci salutiamo, ci diamo un timido bacio sulla guancia e vedo poi Stefania e Paola scendere dal filobus, fotografo con la mente i numeri civici che ho di fronte e vedo le due ragazze proseguire sul marciapiede nella stessa direzione di marcia del mezzo, senza attraversare la strada…
I giorni passarono e, come avevo immaginato, Stefania non mi telefonò.
Mia mamma fu sempre mia complice nelle mie avventure. Se io non ero in casa, era lei che di solito rispondeva al telefono in portineria ed il suo tatto e la sua dialettica erano proverbiali con i miei amici che chiamavano. E se poi, al di là del filo, c’era una voce incerta di ragazza, mia mamma era in grado di farla sentire a suo agio già con il primo saluto e mi avrebbe subito informato della chiamata.
Milano è una grande città! E viale Campania è una delle sue arterie più popolose, individuai almeno tre famiglie con quel cognome che abitavano nei grandi condominii di quel tratto di viale che avevo ipotizzato essere l’abitazione di Stefania. Non mi sembrava il caso di fare delle telefonate a vuoto, avrei solo fatto la figura dell’impiccione e anche se avessi trovato la famiglia giusta, avrei avuto difficoltà a districarmi con i suoi genitori…
Quindi pensai che avevo ancora a disposizione due carte importanti da giocare, la prima era quella che adoravo scrivere, la seconda è che ero il figlio di una portinaia!”
Racconto tratto dal libro “Lettere di gioventù” di Daniele Pezzali edito da KDP-Amazon 2020 – (https://www.danielepezzali.com/libri).