La crisi a Taiwan e la “guerra dei microchip”
L’epilogo della “questione afghana” ci ha mostrato due aspetti prevalenti: il fallimento della diplomazia USA e l’avanzamento della politica di “collaborazione economica e di non interferenza” della Cina.
Chiuso quel capitolo, inevitabilmente a breve, ci troveremo a fare i conti con la crisi internazionale relativa all’isola di Taiwan.
Sono anni che la Cina preme riguardo la riunificazione con l’isola dissidente e gli Stati Uniti ovviamente non ne vogliono sapere.
La tensione nel Mare della Cina è già alle stelle con le portaerei statunitensi schierate assieme a quelle inglesi, francesi, australiane, indiane e giapponesi, al momento si parla di “esercitazioni militari”…
La guerra attorno ad un microchip
La vicenda dell’Isola di Formosa è però molto più complicata e delicata della questione afghana e l’impatto di una crisi in quell’area sarà direttamente percepito a livello economico in tutto il mondo a causa della produzione dei microprocessori.
Sono mesi che si parla di “crisi dei microprocessori”, in questi giorni è stata diffusa la notizia riguardo il taglio delle produzioni da parte delle più importanti case automobilistiche a causa della carenza di microchip a livello mondiale.
L’industria e tutte le catene di approvvigionamento sono da mesi in forte tensione sia per la mancanza di componenti, sia per i prezzi degli stessi che hanno subito aumenti anche di 10/20 volte rispetto al loro valore!
La domanda dei microchip è aumentata a livello esponenziale negli ultimi anni per l’effetto di diversi fattori: l’avanzamento delle nuove tecnologie in ogni settore, le applicazioni IoT (internet of things), l’industria 4.0, l’impiego massiccio dello smart working, la domotica, i mezzi elettrici, la connettività delle reti (5G) e molto altro ancora.
Ancora oggi la tecnologia più avanzata dei super-microprocessori e quella relativa alla loro produzione, è in mano agli Stati Uniti.
Con il progetto “Made in China 2025”, Xi Jinping sta spingendo le università e le industrie cinesi a sviluppare quel tipo di tecnologia produttiva per diventare indipendenti dal know how Statunitense, quindi in questo momento i cinesi sono ancora a “metà del guado”.
Ebbene, qui arriviamo al “nocciolo della questione”: più della metà della produzione mondiale di microprocessori è processata proprio a Taiwan!!!
Il fabbisogno relativo alla domanda ha surclassato sia l’offerta, sia la reale capacità nel breve periodo di incrementare la produzione globale.
Il trend per il futuro vede una domanda crescente anche per lo sviluppo di nuove applicazioni ed in questo momento “l’oro nero fatto di silicio” che alimenta tutte le industrie del mondo, si trova proprio sull’Isola di Formosa presso JV taiwanesi/statunitensi.
Dai microprocessori dipende anche l’industria italiana!
Parlare di semiconduttori, oggi, non è solo parlare di “informatica”, tutti i prodotti che usiamo hanno al loro interno almeno un microchip, dal telecomando per aprire il cancello di casa, all’elettrodomestico, all’automobile, fino al settore delle macchine industriali.
In pratica qualsiasi apparecchio elettrico contiene al proprio interno svariati semiconduttori!
Un conflitto o anche solo una paralisi dell’industria a Taiwan innesterebbe una crisi economica mai vista in precedenza ed a farne per primo le spese sarebbe proprio l’Occidente.
Comunque sia, anche se non ci fosse un inasprimento dei rapporti internazionali, le problematiche riguardo al reperimento dei microprocessori dureranno per almeno altri quattro/cinque anni, questo è il tempo che impiegherà la Cina per diventare autosufficiente nella produzione dei microchip ed è anche il termine necessario per avviare nuovi impianti produttivi in altre nazioni.
Per la mia professione sono in contatto con diverse industrie manifatturiere ed il consiglio che do agli approvvigionatori è quello di formalizzare contratti pluriannuali con i produttori/ distributori di microprocessori.
In queste condizioni di mercato solo le aziende che avranno saputo pianificare i fabbisogni anzitempo, formalizzando degli accordi precisi, saranno in grado di produrre le schede elettroniche per le proprie apparecchiature.
Nel frattempo possiamo solo tenere le dita incrociate affinché la produzione a Taiwan continui a fluire liscia.
Per vent’anni abbiamo visto sullo scenario internazionale “il braccio di ferro” tra l’Afghanistan e le potenze occidentali, un conflitto che ha coinvolto anche i nostri militari ma che abbiamo percepito “lontano da casa nostra”.
Un eventuale “crisi di Taiwan” mossa dalla Cina è assolutamente un “affare nostro”, purtroppo con l’attuale diplomazia USA, europea ed italiana che abbiamo visto di recente all’opera, mi vengono i brividi al pensiero di cosa potrà succedere!
Daniele Pezzali consulente in Procurement & ICT (visita: www.danielepezzali.com)
La Cina già in combutta coi talebani per spartirsi le ricchezze dell’ Afganisthan. La Cina è del tutto indifferente al rispetto dei diritti umani ed ai valori della democrazia, quindi coi fondamentalisti si troverà a perfetto agio; il popolo afgano, in primis le donne, si avviino pure al lordo triste destino.