“Femminismi e altre liberazioni”
Il tempo passa in fretta e le giornate con dediche particolari si susseguono. Ma cosa succede se sovrapponiamo frammenti di umani ricordi? Così, tanto per ricordarci che la separatezza non facilita la comprensione ed è antipedagogica se non è convenzione per poi riunire.
Femminismi e altre liberazioni, pubblicato oggi sul blog di Annamaria Manzoni, psicologa e psicoterapeuta.
Come di consueto, un’altra lucidissima e profonda analisi.
Riporto qui la versione integrale, per pochi minuti di lettura, così com’è al link indicato.
FEMMINISMI E ALTRE LIBERAZIONI
Era il 1792 quando il filosofo Thomas Taylor, in risposta a “Una rivendicazione dei diritti delle donne” di Mary Wollstonecraft,
rispondeva provocatoriamente che, se si riconoscevano diritti alle donne, allora si sarebbe dovuto riconoscerli anche agli animali. Pensava ovviamente di risultare provocatorio, di suscitare sconcerto o ilarità, proprio come divertito e sconcertato era evidentemente lui davanti all’ipotesi che le donne potessero aspirare ad essere portatrici di diritti. Ma, suo malgrado, la sua tesi, ripulita dalle connotazioni connesse alla sua preoccupante visione a tunnel sulle cose, risulta quanto mai azzeccata: comporta un link, che è politico, psicologico, esistenziale tra questione femminile e questione animale, benchè lui fosse lontano mille miglia dall’intuirla e riuscisse a risolverla solo come battuta.
Prescindendo dalla ricostruzione del cammino faticosissimo delle donne in direzione della parità di genere e di quello solo agli albori degli altri animali, portato avanti per interposta persona, in difesa almeno della loro sopravvivenza, è importante riflettere sui modi in cui si estrinseca questa particolare alleanza interspecifica donne-animali.
Di certo nessun discorso al proposito può essere univoco ed esaustivo, data l’enorme articolazione dello stato delle cose dovuto all’infinito numero degli individui implicati. E’ un dato di fatto, comunque, che spesso sono state le donne a prendere atto di come le loro battaglie per uscire da una condizione di sottomissione e dipendenza dal genere maschile andassero di pari passo con la rivendicazione ante litteram della liberazione animale.
Già dagli anni ’30 del 1800, le attiviste che lottavano contro la schiavitù negli stati americani diedero vita al primo movimento per i diritti delle donne, rendendosi conto[1] della discriminazione femminile all’interno delle loro stesse organizzazioni (un pensiero reverente alle ragazze deputate, secoli dopo, a fare fotocopie per i compagni sessantottini). Non è casuale che molte di quelle donne fossero vegetariane: semplicemente capivano che la lotta contro le ingiustizie razziali, di genere, di specie avevano un unico denominatore, il rifiuto dei rapporti di potere, e in difesa dei nonumani mettevano in atto l’unica azione immediatamente praticabile, vale a dire la decisione di non mangiarli.
Lo capì Harriett Beecher Stowe, autrice del libro cult “La capanna dello zio Tom” (1852),
che dopo avere denunciato con una potenza descrittiva fuori dal comune le ingiustizie razziali, si dedicò a scrivere per un pubblico femminile, parlando anche di diritti animali. La scia lunga di queste lotte unitarie dalla parte dei deboli contro i dominatori, è andata poi organizzandosi in modo più esplicito arrivando con l’ecofemminismo ad attiviste che fanno della difesa del mondo animale un tassello imprescindibile delle loro rivendicazioni. Nel loro pensiero le forme di oppressione su donne, bambini, animali e ambiente sono connesse, e di conseguenza la lotta contro le discriminazioni, portata avanti dai movimenti progressisti, deve contemplarle tutte. Consequenziale, secondo Carol Adams, una delle rappresentanti più prestigiose di questi movimenti, che le femministe debbano essere vegetariane.
Non si può ignorare Angela Davis, a partire dagli anni ‘70 attivista dei diritti civili degli afroamericani e delle donne:
anche lei, con la sua scelta vegana, si situa nel filone di chi, dedicando la propria vita alla lotta contro il razzismo, si è contestualmente mostrato sensibile alla questione animale, in quanto intimamente collegata alla discriminazione ai danni delle minoranze umane. Insomma, non dovrebbe essere possibile parlare di giustizia, equità, liberazione declinata in tutte le sue forme umane senza includere nel cerchio delle vittime in cerca di liberazione anche i nonumani, il chè richiede ovviamente come primo imprescindibile passo l’adesione al veganismo, come forma di necessaria coerenza. Quindi, come altre delle donne già citate, la Davis considera parte di un atteggiamento rivoluzionario cogliere il link tra tutte le forme di oppressione:
a stupire non dovrebbe essere questa tesi, ma piuttosto il suo rifiuto.
E’ singolare che la Davis solo in tempi recenti abbia reso pubblica la sua scelta vegana, che pure è di antica data: il silenzio sulla questione, protrattosi per tanti anni, parla forse della sua consapevolezza che quella che era una evidenza per lei e forse per altre avanguardie culturali aveva bisogno di tempo per una adeguata elaborazione da parte della grande massa delle sue seguaci: troppi i luoghi comuni e troppo impreparato il contesto, tanto da rendere plausibile la possibilità di inficiare il consenso per le altre fondamentali battaglie in corso, che evidentemente anche per lei erano prioritarie. A fronte di ciò, l’outing odierno testimonia la sua percezione che i tempi siano davvero cambiati tanto da rendere l’accoglimento di posizioni di giustizia inclusive degli altri animali uno step ineludibile, parte imprescindibile di una diversa visione del mondo.
E non può che stupire che agenzie di pace, come lo è chiesa, partiti autodefinentisi di sinistra e quindi strutturati su ideali di giustizia, associazioni ambientaliste tenute a includere gli animali nella natura che vogliono difendere, e si può continuare con gli psicologi che di benessere si occupano siano così spesso e tanto colpevolmente estranei a questa consapevolezza.
La particolare vicinanza delle donne ai nonumani si struttura da sempre anche su ragioni diverse da quelle fino a qui esaminate.
Insegna molto il fatto che a studiare i primati nella seconda metà del 1900 furono tre donne, attive in periodi in cui il lavoro scientifico femminile era fortemente svantaggiato rispetto a quello maschile: Dian Fossey, che si dedicò allo studio dei gorilla nell’Africa centrale, Jane Goodall, che studiò gli scimpanzé, e Birkute Galdikas, interessata agli oranghi del Borneo, furono scelte dall’archeologo e naturalista Louis Leakey proprio in quanto donne, e come tali portatrici di un diverso approccio alla conoscenza degli animali, caratterizzato da passione e capacità di empatia. Tutte loro segnarono una distanza abissale rispetto ai colleghi maschi, che gli animali li osservavano negli zoo e nei laboratori. Nessuna di loro, in netta contrapposizione con lo spirito dei tempi, si arrogò il diritto di sottomettere gli animali alle proprie pretese di studio, imprigionandoli in ambienti estranei alle loro necessità etologiche: furono loro stesse, invece, a trasferirsi nell’ambiente di vita degli animali che volevano conoscere, e lo fecero con una dedizione totale, mettendo in gioco la propria stessa vita (Dian Fossey fu uccisa in Africa nel 1986 proprio a causa del suo coinvolgimento nella difesa dei gorilla), trattandoli non come oggetti di studio da manipolare a piacere, ma considerandoli nella complessità delle loro relazioni.
Insomma un approccio assolutamente empatico a fronte dell’atteggiamento appropriativo maschile.
Ed è proprio di empatia che bisogna parlare nell’esaminare la relazione donne-altri animali, ricordando in primo luogo quanto prioritaria sia la presenza femminile in una serie di situazioni “animaliste”: sono soprattutto donne le volontarie dei canili, quelle che telefonano ai centralini per denunciare violenze contro gli animali; sono soprattutto donne le gattare e le persone vegane.
Alla base di questa predominanza di genere a giocare un ruolo fondamentale è appunto la capacità di immedesimarsi nell’altro in una sorta di identificazione che permette di percepire, di vivere sulla propria pelle le sue emozioni. E identificarsi con l’altro significa anche soffrire la sua sofferenza e, anche se non sempre, mobilitarsi per andare in suo soccorso. E’ fuori discussione, non solo in base all’osservazione, ma anche ai risultati di ricerche fatte, che l’empatia è non soltanto, ma soprattutto femminile: le ragioni sono complesse e probabilmente, a livello evolutivo, connesse alla necessità empatica nel rapporto con i bambini nelle prime fasi della vita, quando è indispensabile capire le loro necessità in assenza di una comunicazione verbale.
Ora, l’empatia, quando riesce ad aggirare la presenza di tanti meccanismi di difesa che remano in direzione contraria, va oltre i confini di specie e guida anche la relazione con gli altri animali.
Ne è chiaro il ruolo nel mondo delle gattare (il termine “gattari” non è ad oggi divenuto di uso comune!), di quelle persone cioè che si occupano di gatti randagi, procurando loro cibo e acqua e cercando di metterli al sicuro dai frequenti maltrattamenti a cui sono esposti. Tradizionalmente lo fanno a prezzo di un sacrificio personale tutt’altro che trascurabile, trasformando il proprio coinvolgimento emotivo in dovere quotidiano, indifferenti alle condizioni del tempo o al proprio stato di salute. Lo fanno in assenza di aspettative di riconoscenza e di intenti appropriativi, attente come sono a rispettare e salvaguardare le abitudini e la libertà di questi animali, (proprio come fecero le primatologhe sopra ricordate): si limitano a percepire il bisogno di aiuto che proviene da esseri indifesi e a darvi risposta. La loro rappresentazione non ha mai goduto neppure di quella considerazione sociale che sarebbe doverosa risposta a tanto impegno. Al contrario l’immagine della gattara è sempre stata stigmatizzata e svalutata da parte degli uomini, che ne hanno messo in risalto difetti e presunte manchevolezze, ne hanno ridicolizzato l’aspetto inevitabilmente trasandato visto il loro darsi da fare con i gatti.
Ne viene oscurata l’ottemperanza alla legge non scritta della pietà, che induce a doveri ben più alti di quelli sanciti dagli uomini.
Nella tensione ad occuparsi di animali in stato di bisogno si estrinseca la cultura del prendersi cura senza aspettative di ricompense: e oggetti di questa cura possono essere tutti i deboli, bambini, malati, anziani o appunto altri animali in quanto fragili, vulnerabili, spesso del tutto indifesi. E’ sufficiente un’occhiata a quello che succede nelle nostre case (con grande amplificazione in tempi di covid) per verificare come si tratti di attività che vedono percentuali bulgare nella predominanza femminile. E quello del prendersi cura non è un comportamento che semplicemente si affianca ad altri: facilmente diventa esclusivo in quanto in grado di mangiare le risorse, di toglierle a molte altre attività, che sono invece tese all’autoaffermazione, e che vedono rimaterializzarsi la presenza maschile, tanto amante di quel potere che per affermarsi necessita di aggressività e assertività.
La più scarsa adesione degli uomini rispetto alle donne al vegetarismo e al veganismo è ovvia conseguenza al disinteresse per la questione animale,
ma trova anche ampia giustificazione nel luogo comune secondo cui i cibi vegetariani sarebbero “da donna”, nel senso di anemici, non vigorosi, inadatti alla loro virilità. Esiste e sopravvive, infatti, la profonda convinzione, in gran parte inconscia, che gli alimenti abbiano una forte connotazione sessista: ci sono quelli da uomini e ci sono quelli da donna . La carne, soprattutto quella rossa, resta alimento icona dell’uomo macho, metafora di virilità, nella misura in cui, con il suo stesso aspetto, richiama immagini da uomo primitivo, da cavernicolo che se la andava a procurare di persona, clava in mano. L’uomo moderno, anche se la carne la conquista al massimo dagli scaffali del supermercato per metterla nel carrello della spesa, resta ostinatamente affezionato al valore simbolico della faccenda, sostenuto anche dalla diffusa convinzione che si è ciò che si mangia, quindi chissà mai che miracolosamente riaffiori quel machismo che un po’ traballa sotto i colpi di dopobarba profumati, gel per capelli e creme per il corpo dall’attrazione fatale. Tant’è: gli uomini spesso tendono a mantenere distanze di sicurezza dal mondo dei cibi leggeri, delle donne, quelle che, secondo la svilente rappresentazione maschile, nutrendosi di verdure e alghe, rafforzano un’identità di genere fondata sulla debolezza.
“Is meat male?” E’ maschile la carne? E’ il titolo di una ricerca pubblicata nel 2012 sul Journal of Consumer Research,
autore Paul Rozin, professore di psicologia della Università di Pennsylvania. Risposta positiva, a quanto pare: oltre alla ricerca, lo conferma una statistica molto più casereccia sulle abitudini osservabili in giro. Inutilmente ci si interroga come sia possibile che non lasci tracce di pensiero l’informazione che vegani sono i maggiori campioni sportivi di ogni disciplina: a cominciare da quel Carl Lewis, “figlio del vento”, indiscussa leggenda con le sue dieci medaglie olimpiche oltre alle altre, che nel 1990 diventa vegano, per motivi etici e religiosi, nel bel mezzo della sua attività sportiva e dichiara “Ho scoperto che un atleta non ha bisogno di proteine animali per essere un atleta di successo. Infatti il mio migliore anno nelle competizioni di atletica leggera è stato quando mi sono convertito al veganismo”. Per continuare con le sorelle Williams, Venus e Serena, l’una vegana su indicazione del medico, l’altra per condivisione solidale, secondo quanto riportato dai media: di loro, sulla cui potenza fisica avrebbero molto da dire le tenniste che hanno avuto la (mala)sorte di doverle fronteggiare, tutto si può dire tranne che richiamino, nell’aspetto e nella forza dirompente, sofferte privazioni alimentari. Un grande testimonial è Mirco Bergamasco, statuario e imponente, il quale di mestiere gioca a rugby, che notoriamente, per dirla con Nanni Moretti, non è uno sport per signorine: appunto, lui è vegano. E poi, o anzi prima di tutti, c’è il grandissimo Luis Hamilton, 7 titoli mondiali al suo attivo e, giova ricordarlo, grande testimonial dell’opposizione a tante delle odierne ingiustizie, a partire da quelle razziali. Solo per citare. E per concludere con la dichiarazione di Dave Scott, considerato il più grande triatleta del mondo, che definisce “un errore ridicolo” pensare che gli atleti abbiano bisogno di proteine animali.
Niente da fare: i bias di conferma, vale a dire gli errori cognitivi che portano a filtrare solo quegli aspetti della realtà in sintonia con le nostre convinzioni ignorando quelle che le smentiscono, sono sempre all’opera.
Un’altra ricerca illuminante (Mente&Cervello, n. 104)
dice che il veganismo è sostenuto soprattutto da 1) donne, 2) che vivono in contesti urbani e 3) che hanno un grado di cultura medio alto. Facile capirne le ragioni. Si è immersi in una cultura che fa della sudditanza dei nonumani la cifra della nostra esistenza e del mangiarli la normalità. Per sottoporre ad un’analisi critica il pensiero dominante è necessario poter disporre di mezzi culturali adeguati, e la vita nelle città è certamente più attiva e stimolante, più facile brodo di cultura di movimenti innovativi. Si aggiunge il fatto che, a quanto pare, è molto meglio essere donne: vale a dire disporre di una forma di intelligenza sintetica, intuitiva, induttiva, a fronte di quella più analitica, logica, deduttiva degli uomini; soprattutto di un’intelligenza arricchita e vivificata dalla presenza delle emozioni.
La breve analisi condotta è indirizzata alla necessità di prendere atto dello stato delle cose,
di individuarne la genesi complessa peri mettere a fuoco le strade da seguire. Prescindendo dalla situazione che vede sempre più sfumarsi la dicotomia sessuale, il riferimento non è mai ad una frattura netta al mondo maschile da quello femminile, ma sempre a maggiori disposizioni, a dei “soprattutto”, che contengono in sè la possibilità di cambiamenti da governare: esistono uomini il cui impegno è forte in favore di tutti i deboli e gli svantaggiati e vi sono, purtroppo , donne che pur senza esporsi in prima persona ad atti violenti, mantengono un ruolo non meno colpevole di sostenitrici o fiancheggiatrici di tante brutture. E non sempre i cambiamenti in atto sono rassicuranti perché vedono le donne a volte inseguire i non invidiabili primati dei loro compagni nelle cronache di omicidi o crudeli attacchi fisici contro persone deboli, le vedono sgomitare per svolgere il servizio militare, mentre qualcuna è già entrata nell’arena a massacrare con entusiasmo tori braccati e indifesi, e altre esibiscono orgogliosa soddisfazione nelle foto che le ritraggono in tenuta da cacciatrici con il piede sopra l’ultima vittima uccisa.
Il cammino dell’emancipazione femminile deve governare il rischio dell’uniformazione a quello maschile
magari per compensare atavici sensi di inferiorità: non è certo questa la strada da percorrere, perché invece le trasformazioni si impongono. Da millenni la divisione di genere è stata il criterio principale per determinare l’esistenza delle persone, con gli uomini al potere e le donne in posizione di sudditanza, esattamente come lo specismo è stato il criterio per definire il posto di umani e nonumani nel mondo. La strada verso il superamento del sessismo deve coincidere con la lotta a tutte le forme di sudditanza e prevaricazione e non può non essere condotta contestualmente alla lotta per la liberazione animale: la consapevolezza conta su contributi di altissimo livello, ma di certo ancora assolutamente insufficienti. Il giorno in cui i festeggiamenti per un nuovo diritto riconosciuto non contemplassero che a pagarne l’ingiusto prezzo fossero vittime animali sulle tavole festose il segnale che questo principio sarà entrato in una consapevolezza più diffusa sarà più tangibile.
Il tempo giusto è oggi: per ogni animale, “dopo” sarebbe troppo tardi.
[1] Si vedano le puntuali ricostruzioni di Erica Joy Mannucci in “La cena di Pitagora”.
Nutrizione sana e sostenibile
Linee guida ufficiali
Ecologia della nutrizione
Impatto del menù
Animali, ambiente, cibo per tutti, salute, buona cucina
L’assenza di giudizio è un punto a cui tendere, talmente difficile (praticamente impossibile) da raggiungere come stile di vita, che richiede molta applicazione, forse la stessa che serve per cambiare dieta.
Realmente si può dire, secondo me, che tenere lontano il giudizio il più possibile, può migliorarci la vita. Usarlo per confermare con gli altri le nostre idee…beh, è sempre andata così per discriminare, sopprimere e fare le peggiori cose di cui siamo capaci.
Scusi se sono andato troppo fuori tema.
Direi di sì, io qui scrivo di contenuti. Quanto alla forma, la più snella possibile. Le chiacchiere di senso comune le fanno alla radio e sui talk show. Il tema di questo articolo non è sulle modalità di comunicazione dove ci si può sbizzarrire su come essere più accattivanti. Questa volta c’è stato un approfondimento come dicevo prima. E si è cercato di dire le cose come sono. Poi qualcun altro penserà a come dirne altre.
Stai forse cercando di dire che dovrei sospendere il mio parere in favore del tuo tifo per gli LGBT? Mi dispiace io ho articolato un ragionamento che non è una discriminazione tout court verso gli LGBTD (so che mancano ancora diverse consonanti) ma la constatazione che il potere dominante ha posto le basi per l’appiattimento del principio di complementarietà che è universale ed alla base della vita stessa in TUTTE le sue forme modificando la società in modo da FAVORIRE determinate tradizioni millenarie.
Non a caso diversi attori e attrici di Hollywood stanno ostentando di non voler riconoscere il sesso del proprio figlio dichiarandolo/a TRANS a a 8-9-10 anni…
Hai idea di cosa comporta questa psyco ideologia abbinata alla nuova “normalità” in termini di evoluzione/involuzione antropica?. Non credo che tu ti sia mai posto un problema simile nei termini reali ma che ti stia limitando ad abbaiare appena qualcuno osa dire che tutto questo non solo è contro la vita ma costituisce una deriva estremamente pericolosa.
Quindi bene se due omosessuali decidono di convivere, NO alle adozioni con affitto di uteri e altre tecniche demoniache, non sto difendendo il mio punto di vista ma la possibilità delle nuove generazioni di crescere vedendo e percependo i sacri principi di complementarietà della vita e non in una società accidentale dove la vita ha meno valore di tutto il resto.
Beh, bellissime considerazioni e associazioni tra donna e amore verso il prossimo. Condivido in toto.
Vorrei però fare un appunto sul metodo di trasmettere questi concetti.
Sarebbe meglio che cercassimo veramente tutti di rendere i concetti più accessibili, sia in termini di linguaggio, sia in modalità di trasmissione del messaggio, che in questo caso, dal mio punto di vista, rimane attrattivo per pochi lettori. La maggior parte della gente si stuferebbe ancora prima di finire…finendo poi col non finire di leggere(passatemi il gioco di parole).
Si dice bene che una delle caratteristiche delle donne vegane era di essere colte. Beh, non mi sembra un buon risultato sinceramente, e sarebbe opportuno chiedersi come potremo rendere più accessibile ed appetibile, nell’ immediato futuro, questo mondo a tutti gli ignoranti del mondo.
Io trovo molto difficile riuscire ad esprimere in modo semplice il concetto di una vita Vegana, la gioia che si prova ad uscire da questo circolo vizioso del mangiare animali o derivati, e mi sento sempre impotente a livello comunicativo quando leggo questi articoloni prolissi, lunghi, pieni di paroloni per esprimere concetti semplici.
Ripeto, l’ articolo mi è molto piaciuto, ma non saprei veramente come proporlo a chi non condivide queste idee.
Tirarla così lunga mi sembra quasi sia un tentativo di tenere l’argomento, una questione per pochi eletti (circa il 7% ad oggi no..?), a volte ho paura che il vegano medio, e la vegana media, tentino di distinguersi innalzandosi in una nuvola di concetti inattaccabili…ma per molti inarrivabili.
Speriamo veramente che non sia così.
Le donne mi piacciono proprio in quanto donne, il rischio di emancipazione somigliando all’ uomo non c’è più, è già un problema di fatto. Bene se ce n’è coscienza.
Sarebbe bello che l’ uomo capisse di poter evolvere, cercando ogni tanto, di somigliare un po’ di più alle donne.
W le donne, W gli animali e W la vita
Spero non vi offendiate per il commento, solo cerco di stimolare una diffusione più semplice di questi bei concetti. Per correttezza lo metterò anche sotto all’ articolo originale.
Grazie per il suo commento. Se ha scorso i miei post avrà visto che gli argomenti sono piuttosto vari, anche se tutti sono legati comunque ad animali, ambiente, cibo per tutti e salute pubblica. Questa volta è stato condiviso l’articolo di un’esperta che ha pubblicato molto su questi temi, ricordo come pochi esempi per tutti “Noi abbiamo un sogno” e l’introduzione al più importante libro della celebre Melanie Joy. Quindi si tratta di un importante percorso tra psicologia, storia, letteratura e attivismo nella realtà. Sono momenti che servono a sostenere ogni possibile forma di cittadinanza attiva per raggiungere gli obiettivi che cita, attraverso la testimonianza personale di ognuno. Dalla parte del progresso culturale abbiamo degli argomenti, dalla parte di oppressione e reazionarismo non ce ne sono. Io faccio quello che riesco nel mio modo personale, in questo caso ho scelto la condivisione integrale, limitandomi a pochi accorgimenti grafici per facilitare la lettura, e ad una brevissima introduzione. Non capisco perché il fatto che le persone possano essere colte non le sembra un buon risultato. Gli anni medi di scolarizzazione stanno aumentando e gli strumenti per poter leggere un articolo come questo li dovremmo avere. Ma l’importante è che ognuno testimoni con la sua personalità e che ci aiutiamo a vicenda per farlo sempre meglio. Se vuole il momento in cui si approfondisce può essere di formazione per chi andrà a divulgare ancora, non solo lo stimolo per ognuno. Anche le difficoltà possono stimolare. Abbiamo bisogno di avere concetti ben saldi, perché sono questioni ad un primo livello di storia, economia, diritto, psicologia, scienze naturali che la filosofia riflette al secondo livello e che cerchiamo di agire al terzo, cioè nella realtà. Il fatto che ora ci sia questo articolo e non un altro non è un ostacolo per un’ulteriore proposta. In particolare qui su OggiTreviso c’è anche il blog Pianeta Terra di Alessandra Tedeschi, e visto che questo pianeta è uno e lo stesso per tutti, troverà altri interessanti spunti per stare dalla parte giusta della storia, e contribuire alle tante forme di attivismo che ci sono in Italia e nel mondo. Le faccio un esempio: chi ha scelto la sostenibilità vera può avere difficoltà con i pasti in famiglia dove gli altri membri non hanno fatto lo stesso. Ebbene, da me, dopo aver affrontato ogni obiezione, non c’è più nessun imbarazzo e nessuna incomprensione, perché chi mi sta intorno ha distinto giusto e sbagliato, torto e ragione, bene e male. Siamo grandi e lo dobbiamo fare. I criteri per fare queste distinzioni chiare sono pubblici, accessibili e legati alle discipline citate, e le discipline di conoscenza non sono opinioni. Studiamo da migliaia di anni, qualcosa la sappiamo. Opinione è se si va in vacanza al mare o in montagna, non le discipline. Il rischio che cita del piedistallo, della saccenza e dei maestrini, è qualcosa che ha a che vedere col vecchio conflitto di potere per cui si poteva usare la conoscenza a questo fine. Ma oggi più spesso la parte reazionaria, cioè che sostiene l’oppressione, usa queste etichette per attaccare la conoscenza che dovrebbe far luce sulla realtà e favorire le istanze di giustizia. Se lei dice una parola di bene trova qualcun altro che le dà del predicatore o del maestrino, certo non io che apprezzo il suo contributo e spero di essere stato un po’ utile in qualche modo. Sta a noi essere chiari e testimoniare sempre meglio, nelle forme che riteniamo più opportune, magari sostenute da idee corrette e ben assimilate.
Io credo che avere la certezza in assoluto del giusto e sbagliato, bene e male o buono e cattivo, sia un meccanismo pericoloso. Dentro di me ho ovviamente questi giudizi, ma non li reputo adatti a tutti e non voglio costringere altre persone a pensarla come me.
Credo che esistano molti modi per vivere in pace e armonia, uno di questi è proprio l’assenza di giudizio.
Poi si rischia di fare discorsi come quelli che ho letto sotto dove ci si arroga il diritto di decidere chi deve fare il genitore, chi non li può avere e con chi sia giusto o meno condividere la propria intimità.
E mi permetta
W il movimento LGBTE!
Circa al fatto della cultura, intendevo dire che è un peccato vedere che l’assenza di informazione e cultura, rende difficile scegliere e comprendere, la possibilità di vivere rispettando ciò che ci sta intorno.
Tutto qui, consiglio a tutti meno convinzioni e più dubbi per una vita più aperta e rispettosa.
Quello che scrive è ciò che si dice nel senso comune. Ma il senso comune è spesso approssimativo, superficiale e anche fuorviante, visto che viviamo in un contesto fortemente condizionato, dalla massificazione e dalle ideologie negative non dichiarate. Non c’è un autore che si arroga di dire cos’è il giusto e cos’è lo sbagliato. C’è una disciplina di secondo livello che lo fa, cioè l’etica, sulla scorta delle conoscenze di tutte le discipline di primo livello. Quindi siamo in tanti a fare questo lavoro. Anche quella del “non giudicare” è una delle super massime del senso comune, discreta, sì, ma molto approssimativa e vacillante non appena la si analizza un pochino. Ogni volta che accostiamo due parole giudichiamo se quell’accostamento è opportuno. Se stabiliamo che estinguere homo sapiens come stiamo facendo è negativo, sbagliato, ingiusto, allora abbiamo giudicato. E anche in modo disciplinare e professionale. Il resto sono chiacchiere e chi fa le marachelle non vuole essere giudicato, come chi uccide altri animali per profitto e tutti gli altri di clima, fame e malattie. Chi compra di questo mercato non vuole essere giudicato, perché l’indolenza e la desensibilizzazione prevalgono. Tornando al luogo comune, “di non giudicare” se ne salva il fatto che non si può chiudere un’intera persona in un giudizio. Ma i comportamenti, con buona approssimazione, sono molto più facilmente giudicabili, in modo disciplinare e professionale. Sarebbe disumano negare 5000 anni di studio.
Nel giugno del 2020 il tribunale del Missouri ha condannato la Johnson & Johnson a 2,1 miliardi di dollari di risarcimenti per il suo borotalco, il quale contenendo l’amianto, ha già causato e causerà cancri alle ovaia a tutte quelle future centinaia di migliaia di donne che non potranno mai essere madri nella loro vita. L’enorme abuso succederà perché qualche ‘filantropo’ celebrato dai media del mainstream, ha fatto mettere sul mercato un prodotto chimico che andrà a squassare il DNA delle cellule dell’apparato riproduttivo di bimbe che, pur avendo una mamma e un papà (genitori 1 e 2 secondo il mainstream), sono state considerate alla stregua di gatte di strada, cioè da dover castrare con metodi spicci. Questi ‘filantropi’ lo hanno evidentemente reso possibile con l’artificio del cavallo di troia, che nella notizia proposta nel link, è un dono per igiene intima: il borotalco.
Meravigliosi altri doni sono in distribuzione in questi giorni, e più si va avanti più ne arriveranno di belli, in una escalation musicale da cavalcata delle valchirie di Wagner, l’opera musicale a cui si ispirava Adolf Hitler.
Avete capito bene, ho scritto borotalco d’amianto: come è stato possibile commerciare un prodotto che avrebbe chiaramente inoculato agenti cancerogeni nelle parti intime delle neonate malcapitate, senza che nessuno in tv, femministe e non, denunciasse questo accaduto e si soffermasse su quanto successo in seno ad una multinazionale globale? Questo borotalco si vende in Italia tuttora? La risposta è sì!
Non tutti sanno che molti dei know how della Johnson & Johnson scaturiscono dalla IG Farben, il colosso chimico farmaceutico che costruì in Germania i campi di concentramento per lo sterminio degli ebrei. Stiamo parlando di un’epoca a noi recentissima, cioè quando già si sapeva da decenni che l’amianto è veleno in grado di sortire lo scoppio ad orologeria dei tumori…
https://www.ilmessaggero.it/salute/storie/talco_johnson_johnson_tumori_cancro_risarcimento_miliardi_ultim_ora_news-5306732.html
La storia continua.
Apre argomenti interessanti, nonostante un collegamento indiretto, ma poi ne trova ancora altri che in un modo o nell’altro entrano enormemente nelle grandi questioni di specismo e patriarcato e del legame tra le due.
1. Il talco dovrebbe essere un minerale nocivo in sé, soprattutto a contatto con le mucose dove lo scambio è maggiore, non mi risulta finora che contenga amianto. Infatti ora si vende meno nei supermercati, più in basso, e so di un farmaco che era proposto anche come talco, ora ritirato. Stupisce la scarsissima diffusione di queste informazioni, che certamente non può essere una mancanza del femminismo, essendo più generale la questione di salute pubblica.
2. Tocca indirettamente il tema dell’eugenetica e delle pratiche di sterilizzazione del diverso che negli Stati Uniti sono state effettivamente finanziate e condotte, nei deliri razzisti che travisavano il lavoro di Darwin
(Patterson, Un’eterna Treblinka, Editori Riuniti, 2003).
3. Wagner è stato un grande a 360°, che fra l’altro, e oltre al nobilissimo impegno politico, ha scritto contro la barbarie della vivisezione (Wagner, Sulla vivisezione, ETS, 2006). Perciò la connection casuale con l’orribile dittatore è purtroppo sfortunata. E ci sarebbe molto di più da sapere sulle relazioni tra Shopenauer, Nietzsche e Wagner, rispetto a quel che resta nei manuali scolastici.
Caro De Iulis, io ho il terribile dubbio che la questione delle “minoranze” sia un feticcio ideologico che serve soprattutto a condizionare e indebolire il ruolo morale maschile che nella sua attitudine viene sempre più svilito e vilipeso tanto che spesso sono le stesse donne a lamentarsi che “non ci sono piu uomini”.
Per quanto riguarda la presunta tutela che i benpensanti credono le donne abbiano ottenuto in questa fantastica società la sentenza sulla testa della multinazionale johnson & johnson è nella sua tragicità una goccia nell’oceano ovvero una delle tante condanne che ogni anno le big-pharma scontano a causa della loro condotta criminale violando i diritti umani e dimostra che i globalisti ovvero i poteri internazionalisti predicano bene ma non perseguono il bene, perseguono il male.
Non è pensabile che tutto questo accada per errore, si potrebbe scrivere un trattato per spiegare bene il perché non sia possibile credere che queste entità possano sostenere i diritti delle minoranze se in realtà minano volontariamente la vita di tutti.
Il riferimento a Wagner non è per sminuire Wagner ma per sostenere che i diabolici piani di certe élites vanno in crescendo che potrebbe essere anche Rossiniano a significare che non abbiamo ancora toccato il fondo della drammaturgia per esempio oggi con Astra Zeneca ritirato in 15 paesi visti i disastri della terapia sperimentale spacciata per anticovid, tra un po’ verranno a dirci che J&J ha un ottimo siero…
Che cosa c’entra questo con le donne? Le sentenze parlano chiaro su ciò che l’umanità TUTTA deve aspettarsi dai filantropi internazionalisti, globalisti…
Che il patriarcato sia un’oppressione storica e che non è del tutto risolta sono fatti, non feticci. Certo magari ci sarà anche tanta retorica, ma non è proprio questo il caso, visto che una buona volta stiamo intorno all’origine intrecciata allo specismo, cosa che la sola miopia delle scarpe rosse, nonostante le buone intenzioni, non puà cogliere. Per il resto posso concordare che delle multinazionali c’è da fidarsi molto poco, essendo state le loro personalità giuridiche analizzate e risultate sovrapponibili a quelle psicopatiche (The corporations, docufilm).
Che il patriarcato sia come dici è un affermazione capziosa ovvero un’affermazione che prende a riferimento esempi reali marginali per creare un apologia distorsiva.
I frutti dell’ideologia attuale di svilimento della figura maschile sono sotto gli occhi di chi vuol vedere e servono al potere oligarchico mercantilista per sostituirsi agli stati identitari che nelle loro costituzioni difendono la famiglia classica, non le donne o.le minoranze. Certamente oggi abbiamo la riprova che la società che agisce nel nome del buonismo ipocrita e mirato mette a capo diversi soggetti femminili (tra l’altro in oggettive condizioni fisiche penose che sviliscono la donna) come Cristina lagarde oppure Lamorgese, Von der Layen, Boldrini, Merkel, etc…sono diventate i capisaldi del fallimento della società classica occidentale. Questo se vuoi banalizzare è un discorso sessista ma se lo guardi a fondo non necessariamente lo è, sarà mica un caso che il potere voglia schierare soggetti deboli come Macron, Conte e certe donne per imporre il primato del mercato sullo stato ovverosia il fallimento della democrazia?
Non è mai pensabile che la psicologia sia stata oggetto di studio per fini politici (MKULTRA) e che dunque il potere cerchi di schierare soggetti deboli e ricattabili per perseguire il primato mercantilista su quello statalista? Capisco che andiamo fuori tema ma voglio dimostrarti che non sto facendo un ragionamento sessista piuttosto sto cercando con non poca difficoltà (perché ci vorrebbe un trattato) di dire che la questione delle minoranze è un impostura ideologica a fini di dominio di potere, il mercante al posto del maschio, nelle teste prima che nei rapporti di forza. E questo va a danno anche delle donne TUTTE, infatte ci sono alcune di loro che lo hanno capito come per esempio la nostra Sara Cunial alla quale però non verrà mai offerto un ministero dall’attuale potere mercantilista e antidemocratico.
Le statistiche su tipo e percentuale di occupazione e di retribuzione descrivono il patriarcato per quello che è. Certo ci sono anche distorsioni mediatiche e retorica, promesse non mantenute e magari alcune figure simboliche, anche se mi sfuggono le “penose condizioni fisiche”. L’articolo parla anche di donne che si adattano bene agli attuali rapporti di potere, trascurando che ci sarebbe un percorso ancora da completare. Quanto a particolari figure arrivate ai vertici metterei anche Condoleeza Rice. “Con dolcezza”. Se lo dice lei che bisogna invadere uno stato sovrano (con un pretesto rivelatosi falso), rappresentando due parti sociali discriminate per sesso e colore della pelle, allora sarà vero. Per lunghi anni di guerra e centinaia di migliaia di morti, più e meno direttamente, e con una situazione geopolitica peggiorata, com’era stato previsto.
Come volevasi dimostrare l’esempio del reddito è un esempio capzioso e nemmeno completamente sbagliato ma la prospettiva che si adotta è quella mercantilista mentre nella prospettiva sociologica più appropriata ai principi millenari è l’uomo che provvede al patrimonio, la donna ha una funzione più alta all’interno della famiglia e in definitiva per tutta la società, siccome il sistema odierno ha costretto le donne a lavorare come gli uomini il fine ultimo della società ovvero quello di perpetrarsi in maniera sana ed equilibrata viene meno perché predomina l’individualismo. Infatti il potere mercantilista divide per poter imperare meglio, tra i due litiganti il terzo GODE!.
Nessuno si sognerebbe di dire che il ballo di coppia è sessista perché è il maschio che conduce! Invece la moderna musica elettronica insieme a molte discoteche impone il ballo individualista…ecco l’egualitarismo dei benpensanti cosa produce, un un’appiattimento e una rinuncia alla propria identità.
I sottoprodotti di questa deriva sono i soggetti che cercano di compensare questa mancanza con la sete di protagonismo che vediamo oggi persino nelle istituzioni. Qualsiasi foto di donna di 100 anni fa presa in ambito rurale è un esempio di luce e bellezza confrontata con gli esempi tristi che ho citato sopra…
Quindi non è il patrimonio a far felici le donne ma una sana struttura sociale che rispetti entrambi i ruoli, facendoli comprendere anziché demonizzandoli.o inculcando teorie strampalate come le attuali “gender” dei psicopatici mercantilisti.
A poter dire se i soldi fanno la felicità dovrebbe cominciare a dirlo chi ne ha di meno… e nel dubbio quello delle pari opportunità non sarebbe un criterio proprio da buttare.
Purtroppo ieri non sono riuscito a completare la questione, faccio un’esempio che speriamo possa avere l’effetto di chiarezza fondamentale sulla qualità del ragionamento.
La cultura orientale identifica con il simbolo dello yin yang il principio della complementarietà, ad esso si associano vari esempi: il giorno e la notte, il cielo e la terra, il sole e la luna e così via fino ad individuare alimenti complementari ad altri di cui non saprei nemmeno fare un esempio, ciò che interessa è il fondamento universale, la verità assoluta e divina che esso rappresenta, il principio di complementarietà che trova la sua quintessenza nel espressione maschile/femminile.
Io vedo che oggi i padroni del discorso propagandano l’uguaglianza a destra e manca, vorrebbero distruggere la complementarietà ed hanno colpito la famiglia tradizionale in vari modi, primo ponendo le basi ideologiche con i concetti di “genitore 1 e genitore 2”, ora stanno propagandando il delirante principio dell’adozione per le coppie omosessuali con lo sfruttamento di un utero in cambio di soldi, dove sono le femministe? Deve essere il maschio tradizionale ad opporsi a questo abominio e a dire le cose come stanno perché le osannate minoranze, GAY, IMMIGRATI, AZIONISTI guadagnano potere da questa tragica distruzione del principio di complementarietà e naturalmente il potere che LORO guadagnano lo perdiamo noi.
Non a caso ci ritroviamo imbavagliati come schiavi impossibilitati nei nostri diritti umani fondamentali mentre le azioni finanziarie dei padroni del discorso (satanico) hanno avuto negli ulti anni guadagni pazzeschi, in ragione di cessioni di sovranità e quant’altro. L’attuale premier, il falso papa, l’unione europea sono i principali attori di questa deriva contro la vita, contro i principi fondamentali della vita, o ce ne liberiamo ideologicamente preservando le tradizioni che stanno puttacaso smantellando e riprendendoci la sovranità politica e democratica sulle istituzioni oppure moriremo a causa del loro potere, vaccini, borotalco, diserbanti derivanti dall’agente arancio usato nella guerra in Vietnam e quant’altro il potere inventa ogni giorno per sottomettere la popolazione.