Il cinema spiegato: La La Land
Se qualcuno dovesse chiedervi a cosa serve il cinema, mostrategli “La La land”. Raccontare una storia per immagini: sin dalle pitture rupestri sembra la vocazione innata dell’uomo. Eppure non tutta l’arte si ricorda, né tutti i film riescono a interpretare i sobbalzi del cuore. “La la land” ci riesce, unendo, come solo sa fare il cinema, le molteplici sfaccettature del linguaggio visivo. Di più: a esso unisce la musica, diventando esempio di esaltazione di diverse arti. In un mondo che produce e digerisce velocemente i numerosi aspetti della comunicazione, “La la land” si prende la briga di calibrare il colore di ogni fotogramma, le scenografie, le minime espressioni facciali dei protagonisti (due grandiosi Ryan Gosling ed Emma Stone, giustamente premiata come miglior attrice protagonista agli ultimi Oscar).
Qualche spettatore distratto e superficiale direbbe che è solo un musical su una storia d’amore, i più attenti si accorgeranno che, tra le pieghe dei manifesti di una Hollywood da cartolina, il terzo protagonista è il tempo. Il tempo sospeso durante un ballo tra le stelle del planetario di Los Angeles, il tempo di un ballo che nei musical cristallizza un sentimento, il tempo velocizzato per esigenze logistiche, ma soprattutto il tempo di una realtà alternativa che prova a spiegare ciò che sarebbe potuto essere, se le scelte della vita, con tutto il carico di aspettative molto reali e poco romantiche, non si fossero messe in mezzo a scombinare il finale.
Una forza, quella del tempo, che il regista Damien Chazelle (Oscar alla miglior regia 2017) si permette di dilatare nello spettacolare pianosequenza iniziale, abbreviare nella fantomatica scritta “5 anni dopo” che condensa i risultati delle grandi deviazioni della vita, spiegare un irreale “what if…”.
Ed è perciò questo il motivo che definisce per me “La la land” come il miglior film, il vincitore morale di quella statuetta che agli ultimi Academy Awards i produttori hanno potuto toccare solo per qualche istante, prima di scoprire che era “Moonlight” il predestinato a vincerla.
Una gaffe, ma anche una beffa del destino per un film che parla proprio di occasioni perdute, di destini dirottati dalle scelte degli altri.
La vita che imita l’arte che imita la vita, direbbe qualcuno. Sicuramente chiunque abbia capito a cosa serve il cinema.