Gomorra: fa male raccontare il Male?
Roberto Saviano ha annunciato che la terza stagione di "Gomorra – La Serie" ci sarà. La seconda stagione si è conclusa martedì, provocando un certo sconvolgimento e una crescente attesa tra gli appassionati. Ma con essa non sono terminate le polemiche che l’accompagna, che sono vecchie come la notte dei tempi e riguardano tutti quei prodotti come fiction, film, libri, opere artistiche di vario genere, ree di mostrare il male e diffonderlo, fino a renderlo oggetto di culto. Tra i tanti dibattiti, la pubblicità negativa che la serie fa a Napoli e il rischio emulazione di comportamenti delinquenziali “perché fa figo”.
Saviano ha provato più volte a parlare di questa faccenda, spiegando che "Gomorra – La Serie", così come il suo libro, non mostrano nient’altro che la verità, resa certamente patinata per essere spiegata attraverso il medium televisivo, ma che nulla toglie purtroppo a ciò che quotidianamente è la Camorra: il Male puro.
La discussione è tuttavia sempre piuttosto attuale: fino a dove un’opera riesce a influenzare le masse? E fino a dove arriva la responsabilità per eventuali atteggiamenti? Nello stesso libro di Saviano viene citato “Scarface” come film cult, scimmiottato dai boss camorristi nelle gesta e nelle parole. Ed è di qualche anno la critica che Berlusconi fece alle numerose fiction sulla mafia (poi comunque ampiamente mandate in onda sulle sue reti), colpevoli di raccontare un’Italia costantemente in negativo.
Il punto però è capire i termini in cui la televisione o il cinema debbono necessariamente indirizzare a un’etica del bene, del buono, del giusto. Se e perché si sente ancora il bisogno di attribuire un ruolo educativo a tali mezzi di comunicazione. Dal canto mio, trovo che tale compito non spetti né al piccolo né al grande schermo, né in generale a nessuna delle arti contemporanee.
Il linguaggio è cambiato, in particolar modo quello televisivo, e le storie non possono né devono farsi modello esemplare di buoni comportamenti. Lo scopo è raccontare una storia, sempre. La letteratura mondiale è da universalmente costellata da cattivi esempi: l’intelligenza sta nell’avere gli strumenti critici per decodificarne contesto, morale e riflessioni apportandoli alla nostra personale visione del mondo. Non è davvero possibile che accada il contrario e cioè che sia il prodotto artistico a doversi adattare a noi. Ciò non toglie che possano esistere prodotti realizzati per educare, ma aspettarsi che l’intero mondo dell’immaginario si assoggetti a ciò è impensabile, oltre che deleterio. Attribuire devianze sociali a una fiction, è un facile modo per togliersi di dosso odiose responsabilità personali, o toglierle alla scuola, allo Stato, alla società tutta, a quelle istituzioni che invece sì, hanno un ruolo preciso all’interno della nostra formazione come individui.
Aldo Grasso, in un recente commento, ha spiegato che il nodo del dilemma sta anche nel modo in cui tali messaggi vengono comunicati: se il valore della fiction è alto, se il lavoro dietro l’opera letteraria, televisiva o cinematografica è importante, ben strutturato e di qualità, il problema non si pone. Il dramma semmai è quando il prodotto non è all’altezza del messaggio. In ogni caso, non è comunque questo il caso di "Gomorra".