The Imitation Game e ciò che in Italia non sappiamo fare
Prendo spunto da un articolo di Roy Menarini dedicato al film in lizza per svariati premi Oscar “The Imitation Game”, sull’affascinante e drammatica vita dello scienziato Alan Turing. Mi auguro che qualcuno di voi abbia già visto la pellicola, che è fatta molto bene ma che soprattutto fa luce su un’esistenza mortificata e ad oggi ancora troppo sconosciuta. La vita e il lavoro di Turing sono stati sepolti da una società ottusa e da segreti di Stato che ne hanno compromesso inevitabilmente la fama e il trionfo. Le conseguenze sono state orribili: Turing è morto suicida a causa dell’umiliazione dovuta alla castrazione chimica a cui è stato costretto per scontare una condanna per omosessualità. Una fine ingloriosa e ingiusta, sebbene il film preferisca concentrarsi sulla sua straordinaria invenzione, quella macchina che ha contribuito alla vittoria degli alleati nella Seconda Guerra Mondiale e che ha portato poi allo sviluppo delle intelligenze artificiali, compreso il computer su cui state leggendo questo post.
Il film, interpretato da un brillante cast di attori su cui spicca un inflazionatissimo (grazie alla sua interpretazione in Sherlock Holmes) ma notevole Benedict Cumberbatch, si snoda secondo un percorso convenzionale, dove i fatti storici si intrecciano alla biografia del protagonista in un equilibrio riuscito, secondo i canoni del miglior biopic. Menarini nel suo pezzo si concentra proprio sulla biografia cinematografica, descrivendone brevemente le trasformazioni nel cinema contemporaneo. Della sua analisi mi ha colpito tuttavia la parte finale, dove il nostro si domanda “se è così semplice costruire racconti biografici per immagini, perché mai le nostre fiction Rai sono quasi sempre deludenti e provinciali, mentre quelle angloamericane raffinate e di pregio? Evidentemente, anche per costruire cinema biografico con formule di successo ci vogliono idee e qualità del lavoro.”
In Italia in effetti la biografia è il mezzo prediletto per raccontare storie, specialmente in televisione. RaiFiction ne sa qualcosa, visto che punta un buon 80% della sua produzione su questo genere, tra vite di santi, papi, politici, sportivi. Ciò nonostante, ricordate tra le numerose serie tv qualcuna davvero memorabile? Qualcuna che raccontasse un’esistenza senza cadere in qualche modo nel patetismo, nella retorica, nel politicamente corretto? Qualcuna che, nella messa in scena, risultasse pulita ed essenziale ma comunque coinvolgente?
Io, sinceramente, no. Non ricordo prodotti italiani (fatta eccezione per quelli targati Sky, ad oggi i più innovativi) capaci di narrare la storia di un personaggio famoso senza presentare una sceneggiatura piatta e poco incisiva, incespicare in una recitazione monocorde, offrire una regia prevedibile.
La parodia della più classica fiction all'italiana nel film Boris (2011)
C’è qualcosa che non va nel nostro modo di raccontare le biografie, forse per scelta dei soggetti, forse per realizzazione. E, allargando il campo, non è un caso che anche il cinema italiano prediliga altro rispetto al biopic. Le conseguenze sono paradossali: nonostante l’abuso del genere in televisione, non solo non si riesce a realizzare qualcosa di significativo (il risultato è un ammasso indistinguibile di storie dallo svolgimento sempre uguale), ma nel circuito cinematografico non viene nemmeno preso in considerazione, se non in piccoli casi isolati. Amiamo le biografie ma solo nel piccolo schermo, e che siano il più possibile somiglianti a quegli sceneggiati che giravano negli anni ’60 e ’70, di altra fattura ma anche di altri tempi: non sia mai che si respiri aria di cambiamento. D’altronde i maggiori fruitori delle fiction biografiche italiane sono rimasti esattamente gli stessi che vedevano quel tipo di programma: perché sperimentare qualcosa di nuovo?
Per tutti gli altri rimangono le produzioni straniere, dove si rispetta sì una certa tradizionale messa in scena, ma per contenuti, soggetti e stile si respira innovazione, coraggio e attualità.