Quando a scrivere è il vip
Ho visto in vendita l’ultimo libro di Barbara D’Urso, quello sul linguaggio del corpo (“Ti si legge in faccia. I segreti del linguaggio del corpo che ti cambieranno la vita”, con Gianluca Liguori, Mondadori). E mi sono chiesta come mai, se uno è famoso, a un certo punto deve mettersi a scrivere un libro. Il fenomeno è in continua espansione. Come se il passaggio attraverso l’editoria sia ormai la tappa obbligata per la consacrazione, oltre che la strategia di marketing più efficace. Dove non arriva la tivù, ci sono i libri. Di qualunque genere s’intende, dai romanzi alle ricette, dalle guide di stile a quelle sul fitness.
La tuttologia si diffonde: ultimamente ho visto Miriana Trevisan (sì, l’ex teen ager di “Non è la Rai”) in veste di scrittrice per l’infanzia con “Le fiabe colorate di Miriana”; Guido Bagatta romanziere con “L’amore è servito”; Chiara Ferragni esperta di moda con “The Blond Salad”, dove snocciola consigli fashion poracci a chi non può permettersi neanche una misera Chanel.
E mi domando poi chi compri il libro di cucina di Francisco, l’universitario che ne “I menù di Benedetta” cucinava gli avanzi del frigo con risultati nauseanti, (“Le ciccionate. 150 ricette low cost e senza sbatti”) o a chi possa interessare la cucina di Fabrizio Bracconieri che, forte del suo passato extralarge ne “I ragazzi della 3 C”, si è proposto come cuoco in “Rita consiglia… le ricette di Bracco”.
Non è un fenomeno solo italiano: all’estero si trova di tutto, da Gwyneth Paltrow e la sua dieta macrobiotica, a Fonzie Henry Winkler autore di libri per ragazzi.
Forse i lettori hanno bisogno di una faccia amica in mezzo alle migliaia di titoli che li circondano? O forse la celebrità porta il desiderio di mettersi alla prova in più campi? I casi Giorgio Faletti e Fabio Volo, dopotutto, sono sotto gli occhi di tutti. E, per quanto discussi, continuano a mietere successo.
Il dubbio però rimane. Se le case editrici preferiscono puntare su volti noti, ma non del mestiere (quindi né cuochi, né romanzieri, né stylist), cosa ci ritroveremo fra qualche anno in libreria? Un marasma di titoli di non professionisti convinti che basti un buon ghostwriter per sfondare nella letteratura? Purtroppo non tutti hanno a disposizione un premio Pulitzer per scrivere la propria biografia (ogni riferimento ad André Agassi è fortemente voluto).
Qualcuno potrebbe ribattere che in fondo c’è spazio per tutti. Non ne sono convinta. La maggioranza dei titoli su cui oggi le case editrici investono sono soprattutto quelli che offrono a priori un buon guadagno. Mancano il rischio e la sperimentazione. Il resto dei media pubblicizza i nomi già famosi, proprio perché famosi. Le conseguenze tiratele voi. Forse sono esagerata, ma credo che se uno è bravo a fare una cosa, che sia condurre, recitare, cantare, è giusto che continui a fare quella. Non serve che ci dimostri che riesce a pure a scrivere, soprattutto se non è un’esigenza profonda, violenta e irrefrenabile (“Open” appartiene evidentemente a quest’ultimo caso). Il resto è fuffa, spazzatura spacciata per lettura pop, leggera e senza impegno, che intanto intasa i nostri scaffali e quelli dei negozi.