La mission di Mission
Ci sono programmi che nascono sin dall'ideazione sotto una cattiva luce. Mi riferisco a “Mission”, trasmissione targata RAI a metà tra reality e documentario che vede la presenza di otto vip sparsi tra i campi profughi del Mali, Sud Sudan, Mauritania, Giordania e Congo, per raccontare la vita dei volontari delle missioni umanitarie. Approvato dall’Alto Commissariato per le Nazioni Unite e dall’Ong Intersos, il programma ha da subito acceso una serie di polemiche.
Già qualche mese fa altre organizzazioni umanitarie, in primis il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), il Gruppo Umano Solidarietà e il Centro Astalli (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati), hanno definito la trasmissione una vergognosa spettacolarizzazione della miseria, inaccettabile e inqualificabile. In un secondo tempo anche il ministro Boldrini ha voluto dire la sua, esprimendo le sue perplessità circa un’eventuale strumentalizzazione. A chiudere il cerchio ci ha pensato poi il direttore di RaiUno Giancarlo Leone, strenuo difensore della sua creatura definita per l’occasione sotto l’innovativo format del “social show”, ibrido reality senza gare né giochi e quindi scevro di quell’intrattenimento ingiustificabile in un contesto del genere.
Oggi si ritorna a parlare di “Mission” perché la data della messa in onda si avvicina (sarà il 4 dicembre) e perché per l’occasione è stata mostrata un’anteprima con Paola Barale ed Emanuele Filiberto di Savoia, immancabili quando si tratta di espatriare per un programma tivù (gli altri concorrenti sono Al Bano, Arisa, Catherine Spaak, Ricky Tognazzi, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi).
La diatriba si è quindi riaccesa, alla luce di immagini che non sembrano raccontare in maniera documentaristica la vita dei villaggi africani, ma semplicemente due personaggi alle prese con lavori manuali, con tanto di colonna sonora da sketch comico. Ed è subito “La Fattoria”.
E tra immancabili petizioni (Su Change.org ne è partita una per bloccare la messa in onda del programma arrivando a quasi centomila firme) e difese tra chi dice di aspettare di vedere la trasmissione, il caso si espande, alimentando ovviamente la curiosità del pubblico.
Chi vincerà? Beh, è difficile pensare che in questo momento la Rai decida di bloccare la trasmissione, contando il fatto che le è costata quasi 400mila euro a puntata, senza considerare i compensi destinati ai concorrenti. Sarà molto più probabile la normale messa in onda ed eventualmente i classici stratagemmi acchiappa audience, nel caso di bassi ascolti (cambio di orario, spostamenti nel palinsesto, ospitate a “L’Arena” o “Uno Mattina” e via dicendo).
Un quesito però rimane. Se lo scopo del programma non è quello di divertire il pubblico, né quello di informarlo in maniera completa sulla vita nei campi profughi, a cosa mai servirà vederselo?