Ma tu li guardi i reality show?
Quando svolgo le mie lezioni all’Università della Terza Età, mi piace stuzzicare i miei allievi e farli ragionare in maniera critica sui nuovi, ma soprattutto sui vecchi mass media, quelli che sembra tutti conoscano già perfettamente. Una volta ho chiesto loro se guardavano i reality show. Figuriamoci. “I reality fanno schifo!”, “Mai visti”, “Il Grande Fratello è una porcheria”, “Volgari”, “Basta!”, il tutto condito da varie esclamazioni venete sulla degenerazione della televisione e su quanto fosse migliore una volta.
Immagino che anche voi, se interrogati sui reality, scuotiate la testa con decisione. Si sa, i reality son spazzatura. Ma ne siete realmente sicuri? Siete davvero certi di non vedere attualmente alcun reality show?
Siete davvero certi di non vedere attualmente alcun reality show?
Ciò che mi preme spiegare ai signori che vengono ad ascoltare le mie lezioni e in questo momento anche a voi che mi leggete, è un concetto molto semplice e chiaro: la televisione evolve di continuo, anche sotto i vostri occhi. Sono passati tredici anni dalla messa in onda del Grande Fratello e pensare che il reality show sia cristallizzato in quel format è sbagliato e riduttivo. Come per la maggior parte dei mezzi di comunicazione, il cui linguaggio muta a gran velocità, anche la tivù non si è fermata, nonostante sia il media che meno evidenzia cambiamenti immediati e nonostante la televisione italiana non brilli certo per innovazione. Tuttavia anche da noi il reality ha cambiato pelle, trasformandosi in un prodotto tentacolare, variegato, poliedrico. Qualcosa capace di declinarsi in una miriade di varianti. Alcune mediocri, altre pregevoli.
Oggi i tipi di reality che vanno di più sono certamente il talent show e il docu reality. Il primo è il format più longevo e di maggior successo. Esistono talent dedicati ai tatuatori, ai pasticcieri, ai cuochi, agli stilisti, tra poco anche agli scrittori (vedi alla voce Masterpiece, in onda il prossimo autunno su Rai3). Talent dove ovviamente si balla, si canta, si recita, ma si possono anche mostrare le proprie doti da drag queen o da barzellettiere.
La Corrida è stata, in fondo, la primissima forma di talent show, con la differenza che alla gente bastavano quei due minuti di celebrità per appagare il proprio lato narciso. L’avvento dell’uomo comune come protagonista del gioco ha fatto sì che quei minuti non bastassero e che orde di persone si convincessero di avere il Dono e che valesse la pena farsi sputtanare il mondovisione da Morgan e Simona Ventura cantando Figli delle stelle, per avere soldi e fama.
Poi ci sono i docu reality. A questo sottogenere appartengono i vari Il boss delle torte, Miami Ink, SOS Tata (“È tanto utile, lo guardo sempre” mi ha risposto una signora durante la lezione), Affari di famiglia, Gli eroi del ghiaccio… in pratica quei programmi in cui, a differenza dei talent, non serve dimostrare di saper fare qualcosa, basta fare già qualcosa: si mette una telecamera in un luogo di lavoro (tranne gli uffici, troppo noiosi) e il gioco è fatto. A tener banco sono le normali dinamiche lavorative, capaci di farci affezionare a personaggi che hanno una vita avventurosa tanto quando il nostro macellaio sotto casa, ma a differenza sua ci danno l’opportunità di spiarla.
Il sottobosco è ampio e diversificato. Non ho citato per esempio quei reality dedicati al restauro di oggetti e persone (Extreme Makover Home Edition, Bisturi), quelli dedicati alle malattie (Malattie Imbarazzanti), quelli sui viaggi (Pechino Express), ma anche il mix di talent e docu.
Siamo circondati da reality show, immersi, sommersi.
Siamo circondati da reality show, immersi, sommersi. E la cosa che più dovrebbe stupirci e minare le nostre convinzioni, è che non tutti fanno così schifo come andiamo ad affermare sicuri in giro, ma che addirittura possono divertirci, se fatti bene.